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I sette diaconi:
S. Stefano protomartire,
S. Filippo...







I sette diaconi, come si leggerà di seguito, furono scelti dai dodici Apostoli per curare il "servizio delle mense", il sostentamento caritatevole dei più poveri e poter così continuare a dedicare maggiore tempo alla predicazione della Parola di Dio.



1 In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. 2 Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. 3 Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. 4 Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». 5 Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. 6 Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. 7 E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede. ...

Atti - Capitolo 6, 1-7




Con i 12 apostoli e la scelta dei “sette” (Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola), la Chiesa conoscerà una grande espansione. In questo contesto di crescita si manifesta la testimonianza di Stefano, che rappresenta il primo martire della Chiesa e Filippo, non va confuso con l'omonimo San Filippo apostolo, che può essere considerato il primo missionario della storia cristiana.



Durante l’Angelus del 26 dicembre 2012, Papa Benedetto XVI ha ricordato così il primo martire cristiano:

"Nel giorno di santo Stefano, anche noi siamo chiamati a fissare lo sguardo sul Figlio di Dio, che nel clima gioioso del Natale contempliamo nel mistero della sua Incarnazione. Con il Battesimo e la Cresima, con il prezioso dono della fede alimentata dai Sacramenti della Chiesa, specialmente dall’Eucaristia, Gesù Cristo ci ha legati a Sé e vuole continuare in noi, con l’azione dello Spirito Santo, la sua opera di salvezza, che tutto riscatta, valorizza, eleva e conduce al compimento. Lasciarsi attirare da Cristo, come ha fatto santo Stefano, significa aprire la propria vita alla luce che la richiama, la orienta e le fa percorrere la via del bene, la via di un’umanità secondo il disegno di amore di Dio.

Infine, santo Stefano è un modello per tutti coloro che vogliono mettersi al servizio della nuova evangelizzazione. Egli dimostra che la novità dell’annuncio non consiste primariamente nell’uso di metodi o tecniche originali, che certo hanno la loro utilità, ma nell’essere ricolmi di Spirito Santo e lasciarsi guidare da Lui. La novità dell’annuncio sta nella profondità dell’immersione nel mistero di Cristo, dell’assimilazione della sua parola e della sua presenza nell’Eucaristia, così che Lui stesso, Gesù vivo, possa parlare e agire nel suo inviato. In sostanza, l’evangelizzatore diventa capace di portare Cristo agli altri in maniera efficace quando vive di Cristo, quando la novità del Vangelo si manifesta nella sua stessa vita."











Santo Stefano protomartire









Festa di S. Stefano protomartire, uomo ricolmo di fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi, che gli Apostoli scelsero come collaboratori al loro ministero, fu anche il primo fra i discepoli del Signore a spargere il proprio sangue a Gerusalemme, offrendo testimonianza per Gesù Cristo, che affermò di vedere assiso in gloria alla destra del Padre, proprio mentre pregava per i propri persecutori che lo lapidarono a morte. (Martirologio)





La celebrazione liturgica di s. Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.



Così al 26 dicembre c’è s. Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 s. Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i ss. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche la celebrazione di s. Pietro e s. Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno.
Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.



Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme.
Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate.
Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al ministero. La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha visto in questo atto l’istituzione del ministero diaconale.



Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.
Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.



Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.



Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”.
Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”.



Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (il futuro Apostolo delle Genti, s. Paolo), che assisteva all’esecuzione.
In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato.



Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”.
Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.



Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il distacco si fece sempre più evidente fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se stessa per difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria opera di inculturazione del Vangelo.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.



Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì s. Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s. Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.



Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di s. Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.



Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove si pensi, nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, un braccio a S. Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a S. Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di S. Lorenzo fuori le Mura.



La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di S. Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da papa Simplicio.
Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.

Si ringrazia:
Antonio Borrelli












Santo Stefano: il martirio e la grazia di vedere i cieli aperti





Il giorno successivo al Natale, la Chiesa celebra la memoria di Santo Stefano, il protomartire della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. Alla nascita sulla terra di Gesù segue la nascita al cielo di Stefano. I pastori vedono un bambino avvolto in fasce e deposto in una umile mangiatoia (Lc 2,16) e Stefano afferma davanti ai suoi accusatori: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio” (At 7, 56).



La vicenda di Stefano è il compimento del mistero del Natale, perché testimonia davanti al popolo di Israele e alla Chiesa nascente tutta la storia della salvezza, a partire da Abramo, passando per Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne, Davide, Salomone sino ad arrivare a Gesù Cristo, il vero tempio di Dio. Stefano ci ricorda l’importanza della memoria per comprendere pienamente l’agire di Dio nelle vicende dell’umanità. I libri del Vecchio Testamento riportano la storia del popolo eletto, ma anche la vicenda di ogni uomo che vuole progredire nell’incontro verso Dio, il quale si avvicina a noi per piccoli passi e si rivela lentamente, per lasciare ad ognuno lo spazio e il tempo necessario per comprenderlo ed accoglierlo.



Quanta fretta c’è, a volte, nel desiderare la conversione dell’altro senza attendere i tempi di Dio! Noi pensiamo che gli altri debbano maturare e crescere velocemente, dimenticandoci come Dio ha agito lentamente nella nostra vita, rispettando la nostra libertà e soprattutto attendendo con pazienza il nostro avvicinamento a Lui. Stefano sembra chiedere ancora oggi a tutti noi di non essere giustizialisti verso il prossimo, perché Dio fa una storia con tutti gli uomini intervenendo con rispetto e con sorprese, manifestandogli la sua tenerezza paterna.



Stefano ci invita a cambiare il nostro atteggiamento per seguire l’esempio della sua condotta, e allo stesso tempo, ci sospinge a contribuire al progetto di salvezza conservando un animo mite e un cuore umile, come quello di Cristo. Stefano ammonisce tutti a rinunziare alla fretta del giudizio sommario e accusatore, ad evitare ogni forma di condanna definitiva e a tenere sempre aperta la porta del cuore, per accogliere e reintegrare chi si è allontanato da Dio e da noi.



Prima di essere trascinato fuori dalla città ed essere lapidato, Stefano pronunzia parole cariche di speranza cristiana. Colui che annunzia la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, compie una duplice azione: aprire la sua bocca per testimoniare la propria fede in Dio, e, allo stesso tempo, riceve la grazia di aprire gli occhi del cuore per contemplare i cieli aperti.



Colui che annunzia, riceve il dono di vedere il Figlio dell’Uomo alla destra di Dio. Il Natale è il tempo dell’Anno liturgico per riflettere sui meravigliosi frutti della predicazione. Dare testimonianza offre benefici prima di tutto a chi annunzia, oltre a rinnovare la vita di coloro che ascoltano. Stefano ha visto i cieli aperti, ha avuto la visione di Gesù seduto alla destra del Padre, ha pregato di non tenere conto dei gesti di violenza verso di lui, ha perdonato i suoi assassini, e solo successivamente è avvenuta la conversione del mandante della sua lapidazione, Saulo di Tarso, l’apostolo Paolo, l’apostolo delle genti.



Questo episodio apre il cuore alla speranza, ricordandoci che le nostre preghiere sono sempre ascoltate da Dio e verranno esaudite anche dopo la morte. Il Natale aiuta a non scoraggiarsi se quello che domandiamo a Dio ritarda a realizzarsi e insegna che non sempre la testimonianza trova accoglienza, comprensione ed accettazione. A volte è necessario pronunziare parole di consolazione, in altre circostanze sono richiesti gesti concreti di carità, in altre ancora la credibilità del messaggio raggiunge le persone solo dopo l’incomprensione, il rifiuto, il disprezzo e persino l’offerta della propria vita.



La conversione dell’Apostolo Paolo è il frutto più prezioso del martirio di Stefano: Paolo riceve l’illuminazione sulla via di Damasco, diventa cieco, viene battezzato e viene elevato alla missione di grande evangelizzatore delle genti. Stefano ci ricorda la potenza della speranza cristiana, un tesoro che traspare dalle parole delle nostre preghiere, dalle opere di misericordia, ma che a volte appare evidente quando il vaso di creta del nostro corpo viene crepato sotto i colpi dei nostri nemici.



Stefano è stato uno dei primi setti diaconi della Chiesa di Gerusalemme. La diaconia è stata da sempre una vocazione nella Chiesa per compiere con fedeltà e generosità la carità. Stefano dimostra che il servizio alle mense, la distribuzione dei beni, la visita ai malati ed i carcerati e l’accoglienza dei migranti, sono opere di misericordia che rendono credibili il ministero della carità. L’offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa è la forma più alta di servizio, perché testimonia il cuore del messaggio cristiano, che consiste nel donarsi all’altro rinunziando a tutto, persino alla propria vita.



Tutte le vocazioni della vita cristiana sono una chiamata al martirio, che richiama l’urgenza di offrire una testimonianza. La fedeltà dei genitori che educano i loro figli malgrado le disobbedienze e le ribellioni, la pazienza di un fratello che sopporta amorevolmente gli egoismi e le offese di un altro fratello, la comprensione del collega che scusa l’alterigia dell’altro, l’umiliazione di un lavoratore cristiano che si vede accantonato per la propria fede, sono forme di martirio spirituale di cui molti cristiani soffrono per amore a Cristo e alla Chiesa.



La nascita al cielo di Stefano è una luce che illumina il tempo di Natale, perché ci ricorda il destino carico di speranza di ogni uomo. Dio è venuto nel mondo nella forma di un bambino, affinché ogni uomo possa raggiungere la statura adulta della fede. Il Natale conduce pertanto ad abbassarsi per adorare il Bambino Gesù nella mangiatoia ma incoraggia anche ad alzare gli occhi verso il cielo per ricordare qual è la nostra origine, la nostra meta finale e soprattutto per dare senso al pellegrinaggio della nostra vita terrena.



La celebrazione del protodiacono Stefano diventa allora quell’occasione favorevole per entrare nel vero clima natalizio, fatto di condivisione, testimonianza, sacrificio e fedeltà alla Parola di Dio, anche se questo potrà recare dispiacere, sofferenza ed emarginazione. Vedere i cieli aperti e il Figlio di Dio alla destra della Padre è la caparra di una promessa che riempirà di vera pace la vita dei testimoni fedeli a Cristo.

Fonte:
Zenit












San Filippo diacono









Commemorazione di san Filippo, che fu uno dei sette diaconi eletti dagli Apostoli: convertì la Samaria alla fede di Cristo, battezzò l’eunuco di Candace regina d’Etiopia ed evangelizzò tutte le città che attraversava, fino a Cesarea, dove si ritiene che abbia terminato i suoi giorni. (Martirologio Romano)





Per distinguerlo da Filippo di Bethsaida, uno dei Dodici, gli Atti degli apostoli lo chiamano “evangelista”, nel senso di annunciatore del Vangelo. È uno dei sette "uomini di buona reputazione" scelti a Gerusalemme dai primi cristiani come aiutanti degli apostoli nelle incombenze pratiche (gli altri sono Stefano, Pròcoro, Nicanore, Timone, Pàrmena e Nicolao).



Ma non si limitano all’amministrazione: Stefano si impegna in un’appassionata predicazione, e viene ucciso con la lapidazione nell’offensiva anticristiana capeggiata, tra gli altri, da Saulo di Tarso. È il primo martire. Allora Filippo, con altri membri della prima comunità cristiana, fugge da Gerusalemme, e si fa poi evangelizzatore in Samaria con straordinari risultati. Predica, convince, battezza, e crea così la prima comunità cristiana oltre i confini della Giudea. Arrivano allora Pietro e Giovanni da Gerusalemme, a ratificare e completare la sua opera, imponendo le mani ai neobattezzati: "Essi ricevettero lo Spirito", dicono gli Atti, raccontando poi l’episodio del ciarlatano Simon Mago, che vorrebbe “comprare” da Pietro il potere di conferire lo Spirito, tirandosi invece addosso la sua cruda risposta: "Va’ in perdizione tu e il tuo denaro!".
Dalla Samaria, Filippo ritorna poi a Gerusalemme. E un giorno, per ispirazione soprannaturale, si avvia lungo la strada per Gaza, dove incontra uno straniero sicuramente molto autorevole, perché viaggia su un cocchio.



È infatti un etìope, ministro della regina Candace. Fa salire Filippo con sé, e lo invita a commentare un brano del profeta Isaia che sta leggendo, ma che non capisce. Non è chiaro se egli sia di religione ebraica; ma certo si sente fortemente attratto dalla fede d’Israele, ed è venuto a Gerusalemme “per adorare”.
Sul testo di Isaia incomincia tra lui e Filippo un dialogo che si concluderà con questa sua richiesta: "Che cosa impedisce che io sia battezzato?". E così se ne ritorna in Etiopia cristiano (Atti, cap. 8).



Filippo, pioniere dell’evangelizzazione fuori dalla Giudea, non agisce secondo un programma. Lo ha spinto in Samaria un momento di pericolo, e sulla via per Gaza lo ha indirizzato un segnale misterioso. Poi si ferma in Palestina: e lo troviamo predicatore nella regione costiera, lungo un itinerario che si conclude a Cesarea Marittima.
Qui Filippo dà vita a una comunità cristiana e prende dimora stabile con le sue quattro figlie nubili, conosciute come “profetesse”. E qui, nella dimora dei suoi ultimi anni, un giorno entra come ospite l’antico persecutore Saulo, che ora è diventato Paolo Apostolo, fratello nella fede e nella predicazione (Atti, cap. 21).



Nulla di certo si sa della morte di Filippo. Sarebbe avvenuta a Cesarea, secondo una tradizione. Un’altra la pone invece nella città di Tralle (Asia Minore), di cui Filippo sarebbe stato vescovo.

Si ringrazia:
Domenico Agasso





APPROFONDIMENTO:

Gli Apostoli di Gesù

San Paolo, apostolo e martire













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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