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Come Essere Santi?






"Fate che chiunque venga a voi se ne vada
sentendosi meglio e più felice.
Tutti devono vedere la bontà del vostro viso,
nei vostri occhi, nel vostro sorriso.
La gioia traspare dagli occhi,
si manifesta quando parliamo e camminiamo.
Non puo' essere racchiusa dentro di noi. Trabocca.
La gioia è molto contagiosa."


Madre Teresa di Calcutta







Che cosa significa essere santi?




Significa essere uniti, in Cristo, a Dio, perfetto e Santo.
"Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste" (Mt 5,48), ci ordina Gesù Cristo, Figlio di Dio. "Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione" (1 Ts 4,3).






Perché Dio vuole la nostra santità?




Perché Dio ci ha creati "a sua immagine e somiglianza" (Gen 1,26), e dunque: "Siate santi, perché Io sono santo" (Lv 11,44), ci dice Dio. "Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta" (1 Pt 1,15).
La santità di Dio è il principio, la fonte, il modello di ogni santità.
E per di più nel Battesimo, Egli ci fa partecipi della natura divina, adottandoci come figli suoi. E pertanto vuole che i suoi figli siano santi come è santo Lui.






Siamo tutti chiamati alla santitá cristiana?




"La santità non è un lusso, non è un privilegio per pochi, un traguardo impossibile per un uomo normale; essa, in realtà, è il destino comune di tutti gli uomini chiamati ad essere figli di Dio, la vocazione universale di tutti i battezzati.
La santità è offerta a tutti" (BENEDETTO XVI, Catechesi del mercoledì, 20-8-08). Ogni uomo è chiamato alla santità, che "è pienezza della vita cristiana e perfezione della carità, e si attua nell'unione intima con Cristo, e, in lui, con la Santissima Trinità. Il cammino di santificazione del cristiano, dopo essere passato attraverso la Croce, avrà il suo compimento nella Risurrezione finale dei giusti, nella quale Dio sarà tutto in tutte le cose" (Compendio, n. 428).






Come è possibile diventare santi?




- Il cristiano è già santo, in virtù del Battesimo: la santità è inscindibilmente legata alla dignità battesimale di ogni cristiano. Nell'acqua del Battesimo infatti siamo stati "lavati [...], santificati [...], giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio" (1Cor 6,11); siamo stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi.


- E proprio perché siamo santi sacramentalmente (ontologicamente: sul piano cioè del nostro essere cristiani), è necessario che diventiamo santi anche moralmente, e cioè nel nostro pensare, parlare e agire durante ogni giorno, ogni momento della nostra vita. Ci ammonisce l'Apostolo Paolo a vivere "come si conviene ai santi" (Ef 5,3), a rivestirci "come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza" (Col 3,12).
Dobbiamo con l'aiuto di Dio, mantenere, manifestare e perfezionare con la nostra vita la santità che abbiamo ricevuto nel Battesimo: Diventa ciò che sei, ecco l'impegno di ciascuno.


- Questo impegno lo si può realizzare, imitando Gesù Cristo: via, verità e vita; modello, autore e perfezionatore di ogni santità. Lui è la via della santità. Siamo dunque sollecitati a seguire il Suo esempio e diventare conformi alla Sua immagine, in tutto obbedienti, come Lui, alla volontà del Padre; ad avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale "spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo [...] facendosi obbediente fino alla morte" (Fil 2,7-8), e per noi "da ricco che era si fece povero" (2 Cor 8,9).


- L'imitazione di Cristo, e quindi il diventare santi, sono resi possibili dalla presenza in noi dello Spirito Santo, che è l'anima della multiforme santità della Chiesa e di ogni cristiano. E' infatti lo Spirito Santo, che ci muove internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc 12,30), e ad amarci a vicenda come Cristo ci ha amato (cfr. Gv 13,34).






Quali sono i mezzi per la nostra santificazione?




Il mezzo primo e più necessario è l'Amore, che Dio ha diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr. Rm 5,5) e con il quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché l'amore, "come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la Parola di Dio e con l'aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai Sacramenti, soprattutto all'Eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all'abnegazione di se stesso, all'attivo servizio dei fratelli e all'esercizio di tutte le virtù. La carità infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine" (LG, 42).
Ogni fedele è aiutato nel suo cammino di santità dalla grazia sacramentale, donata da Cristo e propria di ciascun Sacramento.






Esistono vari modi e forme di santità?




Certamente. Ognuno può e deve diventare santo secondo i propri doni e uffici, nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della propria vita.
Le vie della santità sono pertanto molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Tanti cristiani, e tra loro molti laici, si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita.






Perché la Chiesa è santa?




- La Chiesa è santa, perché:

• Dio Santissimo è il suo autore;

• in essa è presente Cristo, capo della Chiesa, il quale ha dato se stesso per lei, per santificarla e renderla santificante;

• è animata dallo Spirito Santo, che la vivifica con la Carità e l'arricchisce con i suoi carismi;

• in essa è custodita fedelmente la Parola di Dio;

• si trova in essa la pienezza dei mezzi di salvezza: essa è strumento di santificazione degli uomini mediante l'annuncio della Parola di Dio, la celebrazione dei Sacramenti, l'esercizio della Carità nella ricerca costante del volto di Cristo in ogni fratello. La Chiesa è casa della santità e la Carità di Cristo, effusa dallo Spirito Santo, ne costituisce l'anima;

• la santità è la vocazione di ogni suo membro, la sorgente segreta, la misura infallibile e il fine di ogni sua attività apostolica e del suo slancio missionario;

• la santità della Chiesa è la sorgente della santificazione dei suoi figli. Per questo giustamente la Chiesa è chiamata anche la madre dei santi, colei che genera santità con feconda e magnanima sovrabbondanza;

• essa annovera al suo interno la Vergine Maria: in Lei la Chiesa è già tutta santa. La Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga;

• nella Chiesa, durante tutti i secoli della sua storia, è fiorita in maniera incredibilmente straordinaria la santità cristiana, sia eroica sia ordinaria, e così si sono avuti innumerevoli Santi;

• ha suscitato, lungo tutta la sua storia, infinite opere di carità.


- "La santità della Chiesa è favorita in modo speciale dai molteplici consigli (povertà, castità, obbedienza), che il Signore nel Vangelo propone all'osservanza dei suoi discepoli. Tra essi eccelle il prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cfr. Mt 19,11), di consacrarsi, più facilmente e senza divisione del cuore (cfr. 1Cor 7,7), a Dio solo, nella verginità o nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei Cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, quale segno e stimolo della carità e speciale sorgente di fecondità spirituale nel mondo" (LG, 42).


- La santità della Chiesa è:

• essenziale per la Chiesa;

• la pienezza della vita cristiana, vissuta in rapporto con Dio;

• ciò a cui mira tutto il resto;

• la vera gloria di Dio;

• la prova più efficace della credibilità della Chiesa.


- La Chiesa è santa sì, ma nello stesso tempo è insieme sempre bisognosa di purificazione. Infatti tutti i suoi membri, qui sulla terra, si riconoscono tutti peccatori, sempre bisognosi di conversione e di purificazione. La Chiesa comprende nel suo seno uomini fragili, che si riconoscono peccatori, e quindi bisognosi di chiedere e di ricevere il perdono da Dio per i propri peccati.
Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli, con il Sangue di Cristo e il dono dello Spirito.






Perché la Chiesa proclama Santi alcuni suoi figli?




"Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i Santi quali modelli e intercessori" (CCC, 828).

La Chiesa, fin dagli inizi, ha sempre creduto che gli Apostoli e i Martiri siano con noi strettamente uniti in Cristo, li ha celebrati con particolare venerazione insieme con la Beata Vergine Maria e i Santi Angeli, e ha implorato piamente l'aiuto della loro intercessione. E lungo i secoli, ha sempre offerto all'imitazione dei fedeli, alla venerazione e all'invocazione alcuni uomini e donne, insigni per lo splendore della carità e di tutte le altre virtù evangeliche.






Quali obiezioni si muovono contro i Santi?




Qualcuno insinua esservi una strategia espansionistica della Chiesa Cattolica.
Per altri, la proposta di nuovi Beati e Santi, così diversificati per categorie, nazionalità e culture, sarebbe solo un'operazione di marketing della santità con scopi di leadership del Papato nella società civile attuale. C'è, infine, chi vede nelle canonizzazioni e nel culto dei santi un residuo anacronistico di trionfalismo religioso, estraneo o persino contrario allo spirito e al dettato del Concilio Vaticano II, che tanto ha evidenziato la vocazione alla santità di tutti i cristiani.
Chi muove tali obiezioni non tiene in debito conto il grande ruolo e la vera importanza dei Santi nella Chiesa.






Chi sono i Santi, per la Chiesa?




- I Santi sono:

• coloro che contemplano già chiaramente Dio Uno e Trino. Cittadini della Gerusalemme celeste, cantano senza fine la gloria e la misericordia di Dio, essendosi già compiuto in loro il passaggio pasquale da questo mondo al Padre;

• "i colori dello spettro in rapporto alla luce" (così li descriveva lo scrittore francese Jean Guitton), perché con tonalità e accentuazioni proprie ognuno di loro riflette la luce della santità di Dio;

• discepoli insigni del Signore. ORIGENE lo afferma con decisione: "I Santi sono immagine dell'immagine, essendo il Figlio immagine" (La preghiera, 22, 4). Sono riflesso della luce di Cristo Risorto. Al pari del volto di un bambino, nel quale i tratti somatici di un genitore sono particolarmente accentuati, in quello del Santo i lineamenti del volto di Cristo hanno trovato una nuova modalità di espressione;

• modelli di vita evangelica, per i quali la Chiesa ha riconosciuto l'eroicità delle loro virtù e quindi li propone alla nostra imitazione. Sono un'attualizzazione del Vangelo nel quotidiano e quindi rappresentano per noi una reale via di accesso a Gesù. Essi "sono sempre stati sorgente e origine di rinnovamento nei momenti più difficili della storia della Chiesa" (GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, 16). "Essi salvano la Chiesa dalla mediocrità, la riformano dal di dentro, la sollecitano ad essere ciò che deve essere la sposa di Cristo senza macchia né ruga" (cfr. Ef 5, 27), (GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai giovani di Lucca, 23 settembre 1989). E il Card. JOSEPH RATZINGER ha giustamente affermato che: "Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e nostro cammino. Essi, i santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell'umano, l'eterno nel tempo";

• testimoni storici della vocazione universale alla santità. Frutto eminente della redenzione di Cristo, sono prova e documento che Dio, in tutti i tempi e presso tutti i popoli, nelle più svariate condizioni socio-culturali e nei vari stati di vita, chiama i suoi figli a raggiungere la perfetta statura di Cristo (cfr. Ef 4,13; Col 1,28). Essi mostrano che la santità è accessibile alle moltitudini, anzi ad ogni persona, e che pertanto la santità è imitabile. Con la loro concretezza personale e storica fanno sperimentare che il Vangelo e la vita nuova in Cristo non sono un'utopia o un mero sistema di valori, ma sono "lievito" e "sale" capaci di far vivere la Fede cristiana all'interno e dall'interno delle diverse culture, aree geografiche ed epoche storiche;

• espressione della cattolicità o universalità della Fede cristiana e della Chiesa che quella Fede vive, custodisce e diffonde. I santi, espressione dello stesso Spirito - come dice il Vangelo - che "spira dove vuole", hanno vissuto la stessa Fede. Tale internazionalismo conferma che la santità non ha confini e che essa non è morta nella Chiesa e, anzi, continua ad essere di viva attualità. Il mondo cambia, ma i Santi, pur cambiando essi stessi con il mondo che cambia, ripresentano sempre il medesimo volto vivo di Cristo. Essi fanno risplendere nel mondo un riflesso della luce di Dio, sono i testimoni visibili della santità misteriosa e universale della Chiesa;

• una autentica e costante forma di evangelizzazione e di Magistero. La Chiesa vuole accompagnare la predicazione delle verità e dei valori evangelici con la presentazione di Santi che hanno vissuto quelle verità e quei valori in modo esemplare;

• mentre onorano l'uomo, rendono gloria a Dio, perché "gloria di Dio è l'uomo vivente" (SANT'IRENEO DI LIONE);

• sono un segno della capacità di inculturazione della Fede cristiana e della Chiesa nella vita dei vari popoli e culture;

• intercessori ed amici dei fedeli ancora pellegrini sulla terra, perché i Santi, pur immersi nella beatitudine di Dio, conoscono gli affanni dei loro fratelli e sorelle e accompagnano il loro cammino con la preghiera e il patrocinio;

• innovatori di cultura. I Santi hanno permesso che si creassero dei nuovi modelli culturali, nuove risposte ai problemi e alle grandi sfide dei popoli, nuovi sviluppi di umanità nel cammino della storia. I Santi sono come dei fari: hanno indicato agli uomini le possibilità di cui l'essere umano dispone. Per questo sono interessanti anche culturalmente. Un grande filosofo francese del XX secolo, HENRY BERGSON, ha osservato che "i più grandi personaggi della storia non sono i conquistatori, ma i Santi".


- Tutto ciò la Chiesa confessa allorché, riconoscente a Dio Padre, proclama: "Nella vita dei Santi ci offri un esempio, nell'intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno" (Prefazio della Messa).


- "Visitando un vivaio botanico, si rimane stupefatti dinanzi alla varietà di piante e di fiori, e viene spontaneo pensare alla fantasia del Creatore che ha reso la terra un meraviglioso giardino. Analogo sentimento ci coglie quando consideriamo lo spettacolo della santità: il mondo ci appare come un giardino, dove lo Spirito di Dio ha suscitato con mirabile fantasia una moltitudine di santi e sante, di ogni età e condizione sociale, di ogni lingua, popolo e cultura. Ognuno è diverso dall'altro, con la singolarità della propria personalità umana e del proprio carisma spirituale. Tutti però recano impresso il sigillo di Gesù (cfr. Ap 7, 3), cioè l'impronta del suo amore, testimoniato attraverso la Croce. Sono tutti nella gioia, in una festa senza fine, ma, come Gesù, questo traguardo l'hanno conquistato passando attraverso la fatica e la prova (cfr. Ap 7, 14), affrontando ciascuno la propria parte di sacrificio per partecipare alla gloria della risurrezione" (BENEDETTO XVI, Angelus, 1-11-08).






Che differenza esiste tra Beati e Santi?




- Quanto alla certezza che sia gli uni sia gli altri siano in Paradiso, non c'è tra loro alcuna differenza.


- Quanto alla procedura: normalmente prima un cristiano viene proclamato beato (beatificazione), e poi, successivamente ed eventualmente, viene proclamato santo (canonizzazione).


- Quanto all'autorità impegnata nel dichiarare uno beato oppure santo: è sempre il Papa che, con un atto specifico pontificio, dichiara uno beato o santo.


- Quanto al culto:

• le beatificazioni hanno un culto permissivo e non prescrittivo, limitato a una Chiesa (Diocesi) o Congregazione particolare. Senza un permesso della Santa Sede, i beati non possono essere eletti patroni, né essere titolari di una chiesa o cappella, né ad essi si può consacrare un altare, né la loro festa può essere inclusa nel calendario della Diocesi o della Nazione. Possono essere dipinti con aureola, ma non con il diadema proprio dei santi;

• le canonizzazioni hanno un culto esteso a tutta la Chiesa, prescrittivo, con una sentenza definitiva. Ad essi si possono dedicare chiese e altari, possono essere eletti come Patroni, le loro reliquie possono essere venerate in tutte le chiese.






I Beati e i Santi sono troppi?




- GIOVANNI PAOLO II ha risposto a tale obiezione in questo modo:
"Si dice talora che oggi ci sono troppe beatificazioni. Ma questo, oltre a rispecchiare la realtà, che per grazia di Dio è quella che è, corrisponde anche al desiderio espresso dal Concilio. Il Vangelo si è talmente diffuso nel mondo e il suo messaggio ha messo così profonde radici, che proprio il grande numero di beatificazioni rispecchia vividamente l'azione dello Spirito Santo e la vitalità che da Lui scaturisce nel campo più essenziale per la Chiesa, quello della santità. È stato infatti il Concilio a mettere in particolare rilievo la chiamata universale alla santità" (Discorso in apertura del Concistoro straordinario in preparazione al Giubileo del 2000, 13-VI- 1994).
E ancora scrive: "Il più grande omaggio, che tutte le Chiese renderanno a Cristo alla soglia del terzo millennio, sarà la dimostrazione dell'onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di Fede, di speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione cristiana" (GIOVANNI PAOLO II, Tertio Millennio adveniente, 37).


- Esiste pertanto tutta una serie di ragioni, che possono essere così sintetizzate:

• i santi li fa Dio e se ci sono i santi la Chiesa non può che riconoscerli e proporli;

• il Concilio Vaticano II ha parlato della vocazione universale alla santità;

• la moltiplicazione delle Chiese locali comporta la moltiplicazione dei modelli di santità;

• la santità è la via più facile all'unità della Chiesa e quindi ha forti implicazioni ecumeniche;

• noi crediamo, ci ricorda il Simbolo apostolico che recitiamo in ogni messa, la "Ecclesiam unam, sanctam...".






Come la Chiesa giunge alla canonizzazione?




Il modo di procedere da parte della Chiesa, nelle cause di beatificazione e di canonizzazione, è stato sviluppato nel corso dei tempi da sempre nuove norme alla luce anche del progresso delle discipline storiche, al fine di avere l'agilità del modo di procedere, mantenendo tuttavia ferma la sicurezza delle investigazioni in una questione di tanta gravità e importanza.
Queste sono le varie tappe:


1) FASE DIOCESANA:


- Chiunque può richiedere al Vescovo della diocesi, dove è morto il Servo di Dio, di avviare una causa di canonizzazione. I Santi e la santità sono riconosciuti, pertanto, come un movimento dal basso verso l'alto. Ancor oggi, è il popolo cristiano stesso infatti che, riconoscendo per intuito della Fede la "fama di santità", segnala i candidati alla canonizzazione al proprio Vescovo, che successivamente invia le prove raccolte al Dicastero della Santa Sede competente, la Congregazione delle Cause dei Santi. Una causa non può essere iniziata se non consta, mediante prove inconfutabili, che il servo di Dio al quale si riferisce la causa in questione è in concetto di santità o di martirio presso una parte consistente dei fedeli.


- Il Vescovo, su istanza del Postulatore e previo permesso della Santa Sede, avvia il
procedimento, non prima, normalmente, di cinque anni dalla morte del fedele. Al Vescovo compete il diritto di raccogliere le prove circa la vita, le virtù o il martirio, i miracoli asseriti, e, se è il caso, l'antico culto del Servo di Dio, del quale viene chiesta la canonizzazione. Per fare questo, il Vescovo ricorre all'aiuto di vari esperti, i quali, dopo aver investigato scritti e documenti, e interrogato testimoni, esprimono un giudizio circa la loro autenticità e il loro valore, come pure circa la personalità del Servo di Dio.
Il Vescovo in particolare deve verificare che:

• questa fama sanctitatis o de martirio sia ben fondata, spontanea (non procurata artificiosamente, ad esempio dai mass media), stabile, continua, diffusa tra persone degne di Fede, estesa tra una parte significativa del popolo di Dio;

• le norme vigenti per l'istruzione diocesana di una causa di beatificazione e canonizzazione siano applicate con molta attenzione;

• nella raccolta delle prove nulla venga omesso di quanto in qualunque modo abbia attinenza con la causa, tenendo per certo che il felice esito della causa stessa dipende in gran parte dalla sua buona istruzione.


- Se il Vescovo ritiene che la causa contiene elementi fondati, allora nomina un Tribunale (Giudice, Promotore di giustizia e Notaio), che interroga i testimoni e riceve da una Commissione storica tutta la documentazione riguardante la vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio.


2) FASE PONTIFICIA:


- Terminate le indagini a livello diocesano, si trasmettono tutti gli atti in duplice copia alla Santa Sede, e precisamente alla Congregazione dei Santi, che esamina gli atti stessi:

• sotto l'aspetto formale (per verificare se gli atti sono validi e autentici) e;

• sotto l'aspetto di merito (per accertare se le virtù sono provate).


- Alla fine la suddetta Congregazione pronunzia la sua valutazione sia sulle virtù sia sui miracoli.






Come viene fatto l'esame circa le virtù?




La Congregazione dei Santi procede in questo modo:


- Viene preparata anzitutto la Positio, che è l'insieme degli atti processuali e degli atti documentali, la quale dovrà essere sottoposta all'esame dei Consultori esperti specifici della materia, perché esprimano il voto sul suo valore scientifico.


- La Positio (con i voti scritti dei Consultori storici e con gli ulteriori chiarimenti del Relatore, se saranno necessari) sarà esaminata dai Consultori teologi, i quali, insieme al Promotor fidei, esprimono il loro parere sull'eroicità delle virtù del Servo di Dio e preparano una propria relazione finale, da sottoporre, insieme alla Positio, al giudizio dei Cardinali e dei Vescovi, Membri della Congregazione dei Santi.






Come va considerata l'eroicità delle virtù?




Il concetto di eroicità delle virtù non implica, necessariamente, che le azioni compiute dalla persona virtuosa debbano essere eclatanti.
"L'eroicità - ha spiegato il Card. JOSÉ SARAIVA MARTINS, Prefetto della Congregazione dei Santi - può benissimo consistere nel compiere in modo straordinariamente generoso e perfetto i propri doveri quotidiani verso Dio, verso il prossimo e verso se stessi. La vita ordinaria di ogni giorno è il luogo più comune per raggiungere le più alte vette della santità" (Discorso, 2003).






Serve anche un miracolo?




Per poter procedere alla beatificazione di un Servo di Dio, l'attuale legislazione canonica richiede anche un miracolo, realizzatosi per intercessione di quel Servo di Dio dopo la sua morte. Per la beatificazione di un Martire non si richiede il miracolo, in quanto lo stesso martirio, subìto per amore di Dio, è un segno non equivoco della vita virtuosa di un Servo di Dio.
Per la canonizzazione invece dei martiri e dei non-martiri occorre un nuovo miracolo, avvenuto dopo la beatificazione.






Perché sono necessari i miracoli?




- C'è una ragione storica: da sempre la Chiesa ha chiesto dei 'segni' a conferma della vita virtuosa di un cristiano.


- C'è soprattutto una ragione teologica: i miracoli sono necessari per:
• confermare la dottrina e la Fede del Servo di Dio;

• per garantire il giudizio sull'eroicità delle sue virtù;

• per provare che la vita di un non-martire non sia stata in segreto laxior (e cioè meno santa) rispetto a quanto risulta dalle testimonianze.






Come si procede nel caso dei miracoli?




- Il miracolo, che San Tommaso descrive come "ciò che è fatto da Dio fuori dell'ordine della natura" viene studiato sotto due aspetti:
•quello scientifico: per provare che l'evento prodigioso (la guarigione), sulla base delle testimonianze e la documentazione medica, è inspiegabile, e cioè supera le capacità della natura o quanto alla sostanza del fatto o quanto al soggetto, o solo quanto al modo di prodursi;
•quello teologico: per verificare se l'evento prodigioso si connota di preternaturalità, cioè se è un vero e proprio miracolo e se esiste un nesso di causalità tra le preghiere al servo di Dio e il fatto prodigioso.


- Spetta anzitutto al Vescovo, ove è avvenuto l'evento prodigioso, far studiare il miracolo da un Tribunale, che deve raccogliere le prove testimoniali e medico-cliniche.


- Poi il Vescovo invia gli atti di detto Tribunale alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale li studia sia sotto il profilo procedurale (per accertare la validità di tali atti) sia soprattutto sul merito. A tal fine:

• gli atti vengono prima esaminati da due periti medici individualmente, e poi da un organo collegiale di cinque medici, i quali raccolgono le loro conclusioni (diagnosi, prognosi, terapia, modalità di guarigione inspiegabile da un punto di vista medico...) in una relazione;

• viene quindi preparata una Positio (con tutti gli atti diocesani e la relazione dei medici) che viene esaminata dai teologi, i quali emetteranno un parere sulla preternaturalità del fatto;

• infine la stessa Positio, la relazione dei medici e i pareri dei teologi vengono sottoposti al giudizio dei Padri (Cardinali e Vescovi) della Congregazione dei Santi, i quali valuteranno se il fatto prodigioso è un miracolo oppure no.


- Il giudizio dei Padri Cardinali e Vescovi, sia sull'eroicità delle virtù sia sul miracolo, viene riferito, dal Card. Prefetto della Congregazione dei Santi, al Sommo Pontefice, al quale solo compete il diritto di dichiarare, con un solenne atto, che si può procedere alla beatificazione o alla canonizzazione di un cristiano e quindi al culto pubblico ecclesiastico, a lui dovuto.






Quale culto si deve ai Beati e ai Santi?




Ai Beati e ai Santi è dovuto il culto di venerazione, e non di adorazione, essendo questo riservato unicamente a Dio.

Non bisogna dimenticare che scopo ultimo della venerazione dei santi è la gloria di Dio e la santificazione dell'uomo attraverso una vita pienamente conforme alla volontà divina e l'imitazione delle virtù di coloro che furono eminenti discepoli del Signore.

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- Non potete alterare o trasformare quest'opera, nè usarla per crearne un'altra.


NB: Per approfondire l'argomento si leggano i seguenti documenti pontifici:

•CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, Cap. V;
•GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica Divinus perfectionis magister
circa la nuova legislazione per le Cause dei Santi, 1983;
•CONGREGAZIONE PER I SANTI:
◦Norme da osservarsi nelle inchieste diocesane nelle Cause dei Santi, 1983;
◦Istruzione Sanctorum Mater, 2008;
•CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC), Terza parte;
•COMPENDIO del CCC, Terza parte.





Si ringrazia,
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Raffaello Martinelli,
Vescovo della Diocesi di Frascati.






ALTRE DOMANDE:






Qual è l'ordine per accedere agli onori degli altari?
Ossia come si diventa servi di Dio, venerabili, santi e beati?




Il santo, e tutto ciò che lo riguarda, suscita sempre un interrogativo:
come fa a esserlo? Cos'ha di speciale? Come ci è riuscito?
I milioni di pellegrini accorsi a venerare la salma di Giovanni Paolo II sono la prova più eloquente. Hanno sentito che era ed è un santo, e Benedetto XVI, autorizzando l'inizio del processo di beatificazione, ha ascoltato la voce della Chiesa, la voce del popolo di Dio.
Questo, in effetti, è il primo passo del cammino verso la santità: la vox populi, la fama di santità.
Per rispondere alla domanda, ci facciamo aiutare proprio da Giovanni Paolo II.
Dal 28 giugno 2005, da quando si è iniziato il processo canonico per la sua beatificazione e canonizzazione, egli è chiamato servo di Dio. Questo è il titolo che il vescovo d'origine del candidato alla canonizzazione (e per il Papa non può che essere Roma) gli conferisce, quando ritiene che ci siano fondati elementi per affermare che egli/ella ha vissuto cercando di conformarsi radicalmente al Vangelo nelle azioni e nelle parole e - per quanto è possibile intuire - nei pensieri e nei sentimenti. La prova sta proprio in quella fama di santità, cui abbiamo accennato sopra. Non succede a tutti che si scriva: «Santo subito».
Terminata la severa inchiesta a livello diocesano, testimonianze e documenti raccolti nella diocesi di origine vengono consegnati alla Congregazione delle cause dei santi. Qui un esperto, il relatore, esamina e valuta quel materiale e prepara un dossier - detto Positio - in base al quale almeno nove teologi valuteranno se effettivamente il servo di Dio ha vissuto secondo il Vangelo in modo non comune.
Se il parere dei teologi è positivo, il servo di Dio è sottoposto al giudizio di un'altra Commissione, formata da vescovi e cardinali.
Se anch'essi sono concordi nel giudizio positivo, il servo di Dio viene presentato al Papa, perché emetta il suo parere definitivo. Dichiarando che quel servo di Dio ha vissuto con intensità non comune le virtù cristiane e che intorno a lui c'è un'autentica fama di santità, il Papa lo indica come modello autorevole di vita evangelica: alla latina, è venerabilis, degno di essere ammirato e imitato, degno esempio, per chi voglia corrispondere alla proposta, che Dio fa a ogni uomo:
«Sii santo, come lo sono io».
Dunque, il titolo di servo di Dio è dato all'inizio del processo canonico dal vescovo locale, quello di venerabile è assegnato dal Papa al termine dei lungo itinerario.
A questo punto si verifica se il venerabile abbia "compiuto un miracolo", come si dice comunemente.
In realtà, Dio solo compie miracoli: il venerabile intercede, perché Dio ascolti ed esaudisca le preghiere di coloro che gli si sono rivolti per chiedergli di pregare anche lui il Padre, perché conceda il miracolo.
Verificato - con inchiesta altrettanto severa - che si tratta di autentico miracolo, il Papa iscrive il venerabile tra i beati, e le persone a lui devote o la gente della sua diocesi di origine possono pregarlo come beato con fiducia e imitarlo con frutto.
Quando il beato farà almeno un altro miracolo, il Papa lo proclamerà santo, cioè lo indicherà a tutta la Chiesa come un modello di cristiano, cui ci si può rivolgere con devozione.






Quanti sono i santi?




Potremmo andar a vedere dove sono elencati.
Nelle Litanie dei santi ne contiamo appena qualche decina.
Sfogliando un calendario, ne troviamo qualche centinaio.
C'è poi un'opera, la Bibliotheca Sanctorum dell'Editrice Cittanuova, una voluminosa enciclopedia di diciassette volumi che ne presenta più di 20.000.
Ma soprattutto c'è un libro, il Martyrologium Romanum, che contiene l'elenco ufficiale dei santi e beati venerati dalla Chiesa, e ne elenca quasi diecimila (9.900).
Ma san Giovanni nell'Apocalisse ci ha detto:
"Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua"! E allora? Possiamo pensare: sono santi tutti quelli morti nell'amicizia del Signore. E questo è estremamente consolante, perché è un'opportunità che possiamo sfruttare anche noi.
Ma ci sono altre domande importanti: Chi sono i santi? Perché sono santi? Ora la risposta a queste domande la troviamo nel Vangelo, ce l'ha data Gesù: il santo - lo udiamo nel Vangelo - è l'uomo delle beatitudini e di quelle beatitudini che vanno contro il pensare comune.






Tutti i santi sono stati canonizzati?
Da quando esiste la canonizzazione?




Non è la Chiesa che "fa i santi", bensì li dichiara.
Infatti, un uomo e una donna non vengono "fatti santi" dalla canonizzazione che è, invece, il riconoscimento autorevole che la tal persona è stata un santo durante la sua vita.
Nel primo millennio della Chiesa il culto dei Martiri e poi dei Confessori era regolato dalle diverse Chiese particolari. I Vescovi, singolarmente o collegialmente in occasione di sinodi, autorizzavano nuovi culti particolari, che iniziavano con la elevatio o la translatio corporis. Tali Atti sono stati chiamati, poi, canonizzazioni vescovili o canonizzazioni particolari, perché coinvolgevano direttamente la sola chiesa locale.
Nel secolo XI cominciò ad affermarsi il principio che solo il Romano Pontefice, in quanto Pastore Universale della Chiesa, ha autorità di prescrivere un culto pubblico sia nelle Chiese particolari che nella Chiesa universale. Con una Lettera al Re e ai Vescovi della Svezia, Alessandro III (m. 1181) rivendicò al Papa l'autorità di conferire il titolo di Santo con il culto pubblico connesso. Tale norma divenne legge universale con Gregorio IX nel 1234.
Nel secolo XIV la Santa Sede cominciò ad autorizzare un culto limitato a determinati luoghi e ad alcuni Servi di Dio, la cui causa di canonizzazione non era ancora iniziata o non ancora terminata. Tale concessione, orientata alla futura canonizzazione, è all'origine della beatificazione.
I Servi di Dio, ai quali veniva concesso un culto limitato, furono chiamati Beati a partire da Sisto IV (1483), determinando così la definitiva distinzione giuridica tra il titolo di Santo e di Beato, che veniva usato indifferentemente in epoca medievale.
La concessione del culto locale veniva formalizzata e comunicata agli interessati mediante Lettera apostolica sotto forma di Breve, che il Vescovo locale mandava ad esecuzione auctoritate apostolica.
Dopo l'istituzione della Congregazione dei Riti (1588), ad opera di Sisto V, i Papi continuarono a concedere culti limitati (Missa et Officium), in attesa di pervenire alla canonizzazione.
La procedura venne definita da Benedetto XIV nel suo De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione (1734-38).
Un po' alla volta le procedure si precisarono e si affinarono, fino ad arrivare alla vigente normativa promulgata nel 1983.
Nella costituzione apostolica "Divinus perfectionis Magister" del 25 gennaio 1983 è stata stabilita la procedura per le inchieste che devono essere svolte nelle cause dei santi da parte dei vescovi; così pure è stato affidato alla Sacra Congregazione delle Cause dei Santi il compito di emanare speciali Norme a tale scopo.






Che cos'è il Martyrologium Romanum?




Il Martirologio non è un elenco come gli altri, ma è un libro liturgico.
E come fa in concreto una comunità a «celebrare» i santi di un determinato giorno? Come in tempi passati i monaci, durante l'«ora prima», cantavano in coro gli elogi dei santi del giorno, così il Martirologium Romanum diventa un'occasione per rendere questo aspetto di nuovo visibile nei nostri riti.
«La Chiesa - dice il liturgista padre Silvano Maggiani - ha sempre sentito il bisogno di "far vedere" la presenza dei santi in mezzo a noi.
Storicamente lo ha fatto attraverso l'evocazione: proclamando una serie di nomi (quindi con il mezzo della parola) si rende viva la percezione della communio sanctorum. È quanto avviene, ad esempio, nella preghiera eucaristica, con un elenco per forza di cose limitato. Da qui, in ambiente monastico, nacque l'uso di cantare il Martirologio, proprio con questa logica».
Ma oggi? Ha ancora senso citarli tutti? «Può avere un senso in una prospettiva che chiamerei estetica - risponde Maggiani -: ricordare i santi di una determinata giornata dà a vedere come il Vangelo sia stato davvero vissuto nella storia.
Questo mostrare è importante. Pensiamo a cosa è stato durante il Giubileo la commemorazione al Colosseo dei martiri del XX secolo. Si è trattato di un gesto liturgico che ci ha permesso di vedere un aspetto del Novecento fino a quel momento rimasto sommerso».
Il Martyrologium Romanum edizione 2001 presenta 6.538 "voci", anche se il numero dei santi e dei beati è più elevato (9.900) perché spesso, accanto al nome, c'è un "...e tot compagni". E, mese dopo mese, con le nuove canonizzazioni e beatificazioni in programma, è sempre più incompleto. Ma in ogni caso, a quasi mezzo secolo dalla pubblicazione, nel '56, della precedente edizione, il nuovo volume che raccoglie i nomi di tutti coloro per i quali la Chiesa ha pubblicamente ammesso il culto segna il culmine di un lavoro tanto grande quanto prezioso.
Il nuovo "Martirologio romano" dell'edizione 2001 era stato il primo dall'epoca del Concilio Vaticano II. Tanto per dare l'idea dell'impegno richiesto, basti pensare che il lavoro di revisione è iniziato nel 1966 con l'obiettivo di conservare e, al tempo stesso, rinnovare la memoria in ogni giorno della santità della Chiesa. Sarebbe necessario ripercorrere la storia degli «elenchi» che inizialmente, nelle Chiese particolari, contenevano i nomi dei martiri morti in quella Chiesa, ma anche i nomi di uomini e donne morti in altri luoghi e il cui martirio ebbe grande risonanza, tanto da essere ricordati in altre Chiese.
Dai tanti martirologi si è poi arrivati a quello "unico", nel quale trovavano posto tutti i santi e i beati riconosciuti come tali dall'autorità della Chiesa cattolica: il primo risale al XVI secolo e fu opera del cardinale Cesare Baronio, e venne approvato nel 1586 da Papa Gregorio XIII. Da allora è stata una successione di decine e decine di revisioni, anche «senza cura né spirito critico, che finirono con il moltiplicare gli errori anziché ridurli». Rispetto all'ultimo, che come detto è del '56, sono stati eliminati dall'elenco i nomi di quei santi, martiri o beati della cui esistenza non vi sono prove storiche sufficientemente fondate. Per avere l'elenco completo di questi nomi occorrerà aspettare la pubblicazione dell'"Appendice", ma per esempio si può già dire che nel nuovo martirologio, mentre troviamo il san Giorgio che sconfisse il drago e san Cristoforo, sono stati cancellati i nomi di santa Filomena e di Uria, santo vittima del santo re Davide. E non si può escludere che ulteriori ricerche scientifiche «richiedano altre correzioni nelle edizioni future».
Tant'è che nel 2004 il Martirologio romano è uscito in una nuova edizione riveduta ed aggiornata.






Perchè le chiese sono dedicate ai santi?
Non rischiamo di essere definiti idolatri?




Se ci si ferma davanti al portale di qualche chiesa anche solo dell'Ottocento, si noterà che vi campeggia una sigla: «D.O.M.», seguita da un «et» e dal nome di un santo o della Madonna, scritti in latino, al dativo per chi ha studiato quella lingua.
La sigla significa: «A Dio Ottimo Massimo e a...». Al posto dei puntini si metta il nome dei santi indicati dalla facciata. Ogni chiesa, dunque, è sempre dedicata «a Dio», al Padre, e a lui viene associato un santo o la Madonna.
Perché le chiese sono "dedicate" a Dio e ai suoi santi? Nei primi secoli i cristiani non avevano chiese come le intendiamo noi: per la "frazione del pane" e per la preghiera comune e per l'esperienza di fraternità cominciarono a ritrovarsi nelle case - in latino domus - di alcuni di loro, capienti a sufficienza per ospitare l'ecclesia, la comunità che si sentiva convocata per lodare insieme il Signore. Ogni casa antica aveva il titulus, l'indicazione del proprietario: era, in un certo senso, la funzione che svolgono oggi i nomi delle vie e i numeri civici nelle città.
Ben presto alcune domus furono destinate specificamente alla vita della comunità e alla preghiera, ma rimase ovviamente l'abitudine, se non la necessità, del titolo. Queste domus non erano più proprietà di un singolo, bensì della comunità, erano domus ecclesiae, donus plebis Dei: case della Chiesa, del popolo di Dio.
Fu spontaneo metterle sotto la titolarità di un santo, di una persona che già viveva presso Dio e che spesso (si pensi ai martiri) era sepolta presso quella domus o all'interno di essa: è il passaggio dalle domus alle basiliche di cui è ricca Roma.
La dedica a un santo esprimeva anche il valore, caro a san Paolo e ai primi cristiani, della Comunione.
Tutti i credenti in Cristo formano un solo corpo, sia noi che siamo in cammino sulla terra sia quelli che già ci hanno preceduto. Ogni chiesa ci ricorda che è casa di Dio e casa nostra, e quel santo cui dedichiamo la chiesa ci fa pensare che non siamo soli nel cammino, che tutti siamo uniti dal vincolo dell'amore.






Perchè sono così diffusi i santini e le immaginette sacre?
Quando si è iniziato ad usarli?




"Ecco un piccolo strumento che potrà aiutarvi! Cercate di avere un'immagine oppure un dipinto di Nostro Signore e non accontentatevi di portarlo sul cuore, senza mai guardarlo, ma usatelo per "conversare" con lui". Così scriveva nel 1566 santa Teresa d'Avila a proposito della diffusione delle immaginette sacre.
Sostenere la fede dei fedeli è stato il primo intento delle immaginette religiose, destinate proprio alla funzione divulgativa delle devozioni e con lo scopo immediato di educazione morale, catechetica, di raccoglimento e riflessione personale.
Nella seconda metà del XIV secolo nei monasteri inizia la diffusione di queste immagini con piccoli dipinti su pergamena, ma il vero sviluppo dell'immaginetta avviene nelle abbazie di Cluny, Citeaux e Chiaravalle dove, con la nuova tecnica della xilografia, si riproponevano alcuni soggetti presi dalle miniature che abbellivano Messali e Libri d'Ore. In Germania tra il XV e il XVI secolo con successo si applicano all'incisione artisti come Durer, Cranach e Altdorfer, e i conventi della Svevia e della Baviera si specializzano in immaginette devozionali, che dopo il concilio di Trento hanno un notevole impulso.
Oltre alla xilografia, si sviluppa l'incisione su rame e l'acquaforte; il centro di maggiore attività sono le Fiandre. Grandi famiglie di incisori contribuiscono a una capillare diffusione dell'immaginetta, a volte con l'aggiunta di una preghiera. Sempre di questo periodo è la nascita dei "canivet", cioè delle immaginette ottenute ritagliando e forando la carta con motivi geometrici o floreali, che fanno da cornice alla figurina incollata al centro.
In Italia la produzione di santini parte in ritardo e in tono minore rispetto al resto dell'Europa. Nei primi decenni del '700 inizia a Bassano del Grappa un'importante produzione di piccole immagini religiose, stampate su fogli grandi da ritagliare, mentre nell'Italia meridionale, alla fine del '700, degli artigiani, detti "stampa-santi", producono santini soprattutto a Napoli e a Palermo. I supporti erano pergamena, carta, seta, tela, pasta di pane, foglie essiccate. Vi venivano raffigurati la Madonna, Gesù, angeli e santi, la croce, santuari, altarini e comunicandi. Sul retro venivano scritte a mano o stampate dediche e preghiere con relativa data e luogo.
Alla fine del '700 il santino, da esclusivo oggetto di devozione, diventa augurio, premio o annuncio di festività religiose, assumendo così un ruolo sociale; infatti, è un vero e proprio documento a testimonianza di un evento strettamente privato, per ricordare a parenti e amici un battesimo, la prima comunione o la cresima, fino alla scomparsa di una persona cara. In questo caso il santino veniva chiamato luttino". Era inoltre utilizzato per le ordinazioni sacerdotali e le professioni religiose.
Nel XIX secolo l'impulso definitivo per la diffusione di massa delle immaginette è dato dall'uso della litografia, che permette la realizzazione di opere di qualità, ma la produzione artistica più bella e significativa si ha verso la metà dell'800 con i "santini in pizzo traforato" o "a teatrino". L'avvento del liberty porta, poi, ad avere santini ridondanti di ghirlande, simboli e lustrini, nastri e preghiere miniate a colori, indubbiamente eccessivi, ma molto belli da vedere.
Più tardi, nel periodo industriale, verso la seconda metà dell'ottocento, si sviluppa la tecnica della fotografia e, accanto ai ricordini di pizzo prodotti fino ai primi del '900, appaiono santini "più economici" stampati su cartoncino. Nel periodo compreso tra le due guerre la qualità della produzione peggiora notevolmente; le tirature sono più commerciali, le linee più essenziali e squadrate.







ALTRE INFORMAZIONI e DOMANDE
tratte da:
Sac. Guido Pettinati SSP, I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 11-21.






Nella teologia cattolica i concetti di "santo" e di"santità" hanno un significato e una storia del tutto speciali.
Il culto dei martiri.
Le canonizzazioni vescovili.
Le canonizzazioni papali.
Che cosa fecero i santi?
Dobbiamo conoscerli e imitarli?




Nella teologia cattolica i concetti di "santo" e di"santità" hanno un significato e una storia del tutto speciali. Nei primi secoli del cristianesimo "santo" designava qualsiasi battezzato in quanto "puro" e "separato" da ciò che è "impuro" e "profano"; come già il popolo ebraico si diceva "santo" rispetto a tutti gli altri popoli perché "eletto" da Dio, secondo i suoi sapientissimi disegni, a portare la salvezza a tutto il mondo. In seguito però l'appellativo venne limitato a quei cristiani i quali, dopo aver trascorso una vita di virtù, godono della felicità eterna, e finalmente divenne il titolo particolare di quelli ai quali la Chiesa rende pubblici onori in terra. In questo libro con il termine "santi" sono indicati tutti coloro che furono canonizzati, cioè elevati agli onori degli altari prima dai vescovi, e in seguito dai papi.
Già presso il popolo ebraico c'era l'abitudine di onorare i personaggi più insigni. Il Siracide, infatti, dichiara santi e canonizzati in qualche modo Enoch, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe, Mosè e tanti altri giusti d'Israele dei quali mette in risalto le virtù che riscontriamo anche nei giusti del Nuovo Testamento, che sono degli antichi gli eredi e i continuatori.

Facciamo l'elogio di quegli uomini pii - egli dice - che furono i nostri antenati, secondo l'ordine delle generazioni. L'Altissimo ha profuso in loro la sua gloria, facendo risplendere la sua grandezza fin dai giorni più antichi. Rifulsero fra di essi illustri regnanti, famosi per la loro potenza; altri furono consiglieri per la loro prudenza, e messaggeri divini per il dono profetico. Altri guidarono la nazione coi loro consigli, o per la loro saggezza di governo e i sapienti discorsi dei loro insegnamenti. Altri furono maestri di musica, e composero canti poetici. Altri ancora erano uomini ricchi e dotati di forza, vissuti in pace nella loro dimora. Tutti vennero onorati dai loro contemporanei, e glorificati durante la vita. Alcuni di essi hanno lasciato un nome, di cui si parla tuttora con onore. Di altri invece non è rimasta memoria. La loro discendenza durerà in eterno, e la loro fama non verrà mai offuscata. Il loro corpo fu sepolto con onore e in pace, ma il loro nome vive nei secoli. La gente racconta la loro sapienza, e l'adunanza celebra i loro elogi (cap. 44).






Il culto dei martiri




La Chiesa cattolica, fin dalle origini, considerò il martirio come massima espressione della fede e suprema prova dell'amore. Venerò quindi coloro che furono uccisi a causa del Vangelo come i più intimi amici di Dio e i più potenti intercessori presso di Lui. Soffrire e morire in testimonianza della divinità di Gesù Cristo costituisce dunque per un cristiano il più grande titolo di gloria. Il Signore Gesù, infatti, nel celebre discorso del Monte, disse ai suoi discepoli e alle turbe di Palestina che lo seguivano:
"Beati siete voi quando vi oltraggeranno e perseguiteranno e, mentendo, diranno di voi ogni male per causa mia. Gioite ed esultate, perché grande sarà la vostra ricompensa nei cieli" (Mt. 5,11).

Persecuzione e martirio, lotta tra il bene e il male, tra Dio e Satana, costituiscono la storia perenne della Chiesa. Il fatto riveste carattere di miracolo morale, ossia è una prova apologetica che il cristianesimo è l'unica religione vera. Non per nulla Tertulliano ammoniva i pagani:
"Più voi ci mietete con la persecuzione, più noi cresciamo, perché il sangue dei martiri è seme fecondo di novelli cristiani". E Biagio Pascal (+ 1662) scriveva a distanza di tanti secoli: "Io credo volentieri ad una fede i cui testimoni si lasciano ammazzare".

Un po' ovunque, già dal secolo III, si formarono raccolte di Acta o relazioni stenografate del processo a condanna dei cristiani, redatte da notai, che diedero origine ai più antichi Martirologi. Essi attestano, assieme alla liturgia, all'epigrafia, all'arte cimiteriale, con quale rispetto i cristiani ricordassero i loro fratelli, defunti "in pace", ovvero "in Cristo", e con quale trasporto tributassero ai martiri un culto speciale di dulìa. Il giorno in cui ricorreva l'anniversario del loro martirio - detto dies natalis o genetliaco, e cioè nascita al cielo - i fedeli si radunavano attorno alla tomba del martire "per la gioiosa celebrazione liturgica della sua memoria e di quella di altri martiri, per attingere forza e coraggio a seguirne l'esempio". Così leggiamo nella lettera che i cristiani di Smirne scrissero riguardo al martirio del loro vescovo S. Policarpo (+ 156). Sul sepolcro del martire, costruito sovente a forma di arcosolio (arco di trionfo), veniva celebrata la Messa, alla quale faceva seguito l'agape fraterna a beneficio dei poveri. Su di esso sorgeva sovente una cappella o una sontuosa basilica, come si verificò a Roma per gli apostoli Pietro e Paolo, S. Lorenzo, S. Sebastiano, S. Agnese, S. Cecilia, S. Susanna, ecc.

Con la pace concessa alla Chiesa (313) dall'imperatore Costantino il Grande (+ 337), la venerazione per i martiri si diffuse ovunque grandemente. L'uso orientale della traslazione o divisione delle reliquie fu imitato anche in occidente moltiplicandosi così i centri del loro culto. Dal secolo V al secolo XI ebbero luogo molte traslazioni di corpi di martiri, sia per arricchirne le chiese e sia per metterli al sicuro dalle invasioni barbariche e dai saccheggi dei saraceni.

Il culto dei martiri e la fede nella loro intercessione sono confermati dalle invocazioni scritte sulle loro tombe, dal canone della Messa, dai graffiti, dai panegirici recitati in loro onore, dal desiderio di molti fedeli di venire sepolti presso la tomba di un martire. Il culto solenne e liturgico dei martiri era il frutto di una spontanea e logica evoluzione che si fondava sulla notorietà del martirio e sulla evidente somiglianza del defunto con Cristo.

La liturgia attuale continua l'antichissima tradizione, venerando e festeggiando i martiri di ogni tempo e di ogni luogo. Lo storico dell'antichità romana, Teodoro Mommsen (+ 1903), fa notare molto giustamente che "in tutta la lunga storia della conversione dei pagani, noi cerchiamo invano qualche solenne figura di martire delle credenze pagane, e se taluno rimase, isolatamente, fedele alle antiche divinità anche nella morte, egli fu più un martire della libertà che delle sue convinzioni religiose". Dare testimonianza mediante il martirio della propria fede è un tipico frutto del cristianesimo.






Le canonizzazioni vescovili




Le persecuzioni contro la Chiesa non erano ancora terminate quando i fedeli cominciarono a venerare "i confessori", cioè quei cristiani deferiti all'autorità civile per la loro fede, ma che, per varie circostanze, o non avevano subito il martirio, o vi erano sopravvissuti.
Cosi capitò per S. Dionigi di Milano (+ 359), S. Eusebio di Vercelli (+ 371), S. Atanasio di Alessandria (+ 373), S. Melezio d'Antiochia (+ 381), S. Giovanni Crisostomo (+ 407), ecc. In seguito, diffusasi l'idea che può supplire al martirio il desiderio del medesimo, accompagnato ad una vita di sacrificio per Cristo, o anche la pratica eccellente della virtù, accompagnata ad una strenua difesa della fede nel campo politico, ecclesiastico e sociale, si creò attorno a certi personaggi una fama e un culto non dissimili da quelli goduti dai martiri. Tra i tanti basterà ricordare: S. Gregorio Taumaturgo (+ 270), S. Efrem siro (+ 373), S. Silvestro papa (+ 335), S. Ambrogio di Milano (+ 397), S. Martino di Tours (+ 397), S. Girolamo (+420) e S. Agostino (+ 430).

Dopo la pace costantiniana, nella Chiesa di Dio prese grande sviluppo la pratica dell'ascetismo e del monachesimo. S. Atanasio, durante i suoi esili, fece conoscere ovunque S. Antonio abate (+ 356), di cui aveva scritto la vita. Egli lo aveva equiparato ai martiri antichi non per l'effusione del sangue, ma per il costante sforzo che si era imposto nella lotta contro i demoni e nell'acquisto della perfezione (Vita, c. 47). Allora fu introdotto l'uso, diventato poi universale, di chiamare "confessori" tutte quelle persone che non avevano avuto da soffrire per la fede o comunque per l'idea cristiana, ma di queste avevano reso testimonianza con la vita di penitenza e di preghiera. Godettero di simile venerazione grandi asceti e famosi monaci come S. Ilarione (+ 372), S. Paolo di Tebe (+ 381), S. Simeone lo stilita (+ 459) e zelanti vescovi come i tre cappadoci: S. Basilio il Grande (+ 379), S. Gregorio Nazianzeno (+ 390) e S. Gregorio Nisseno (+ 400). Presso le loro tombe sorsero sovente santuari che attiravano turbe di pellegrini; le loro reliquie furono venerate e ricercate; l'anniversario della loro morte veniva celebrato liturgicamente con grande solennità.

Dal secolo V al secolo IX parecchi santi "non-martiri" furono accolti nei calendari romani ed ebbero nella Città eterna i loro oratori e le loro chiese con annessi i monasteri. Questo culto in gran parte fu favorito dai papi di origine non romana, dai monaci emigrati per controversie politico -religiose dall'oriente all'occidente, dallo scambio di reliquie e dalla diffusione delle Passiones o racconti completi delle sofferenze subite dai martiri o dai confessori, narrate molto sovente con l'ingenuo gusto del meraviglioso. Nella diffusione del culto dei santi esercitarono ed esercitano ancora un grande influsso le opere dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, in quanto sviluppano sistematicamente la teoria del "martirio incruento", rappresentato dalla vita cristiana, ascetica e monastica vissuta alla perfezione. Al presente i santi confessori sono distinti in quattro categorie: i confessori pontefici (vescovi), i confessori dottori, che si segnalarono nella difesa della fede con gli scritti, i confessori abati; i confessori non pontefici.

P. Giuseppe Löw (+ 1962), redentorista, vice relatore della Sezione storica della S. Congregazione per le cause dei Santi, ha scritto sotto la voce Canonizzazione nell'Enciclopedia Cattolica, vol. III, col. 574 s.: "Fra i secoli VI e X, mentre l'Oriente si distaccava sempre più dall'Occidente, la dissoluzione dell'impero romano e l'immigrazione dei popoli barbarici, con la relativa necessità di convertirli alla fede cattolica, posero la Chiesa di fronte a compiti nuovi e ardui. È l'epoca dei grandi vescovi, dei monaci missionari, dei re convertiti che finiscono persino nel chiostro, delle regine e principesse fondatrici di monasteri e chiese e poi esse stesse badesse o monache, degli eremiti e dei pellegrini; un mondo in fermento e in movimento, con profondi contrasti fra violenza e santità, in mezzo a popoli giovani, di forte immaginativa, entusiasti della nuova fede, ammiratori degli eroi della carità e della illibatezza evangelica. In questo periodo, oltre una rifioritura del culto dei santi martiri, nascono un po' da per tutto nuovi culti di santi: bastava al popolo spesso la fama di vita penitente, la fondazione di un monastero con le sue benefiche conseguenze, una grande beneficenza verso i poveri, talvolta una morte violenta, anche se non sempre per stretto motivo di fede, e soprattutto la fama di miracoli, per far nascere un nuovo culto: voce popolare di santa vita, e credito di miracoli sono i 2 punti di partenza per questi culti dell'alto medio evo. Le grandi chiese considerarono ordinariamente i loro fondatori e primi vescovi come altrettanti santi; lo stesso vale per le figure di grandi abati. In tutti i casi se ne raccolgono le memorie, se ne scrivono le leggende senza troppe preoccupazioni di critica; i calendari e i martirologi di quei secoli si arricchiscono con sempre nuovi nomi, nelle chiese si moltiplicano gli altari e il numero delle feste aumenta rapidamente. Di tanto in tanto occorreva reprimere anche facili abusi..."

"Dalle varie e molteplici notizie su questa materia, risulta che si stava formando in questi secoli una certa prassi più o meno uniforme, attraverso la quale veniva autorizzato un nuovo culto. Il punto di partenza rimane sempre la fama pubblica, la vox populi, che subito dopo la morte del servo di Dio correva alla tomba, ne invocava l'intercessione e ne proclamava l'effetto taumaturgico. Allora era avvisato il vescovo competente; in sua presenza, anzi, spesso in occasione di un sinodo diocesano o provinciale, si leggeva una vita del defunto e soprattutto la storia dei miracoli (primissimo nucleo dei futuri processi) e in seguito all'avvenuta approvazione, si procedeva all'esumazione del corpo per dargli una sepoltura più onorevole: la elevatio. Ma spesso seguiva subito o più tardi un altro passo: la translatio, cioè la nuova deposizione del corpo santo davanti o accanto ad un altare o addirittura sotto o sopra l'altare, il quale prendeva il nome dal santo ivi venerato; anzi, alle volte la stessa chiesa era ampliata o ricostruita e dedicata precisamente al santo elevato o traslato. Dall'elevazione o traslazione in poi veniva celebrata regolarmente la festa liturgica, spesso con grande solennità, non solo nella località dove sorgeva l'altare o la chiesa, ma in tutta la diocesi, la regione, la provincia, o in tutta la famiglia religiosa..."

"Per più di cinque o sei secoli (secc. VI-XII), la canonizzazione vescovile era la canonizzazione normale e unica in uso nella Chiesa latina. Accanto ad essa, la canonizzazione papale crebbe molto lentamente e ci volle molto tempo e molto lavoro dottrinale e canonistico prima che essa riuscisse a soppiantare la canonizzazione medioevale ordinaria, compiuta dai vescovi..."

"II trapasso dalla prassi della canonizzazione vescovile alla canonizzazione papale è quasi impercettibile agli inizi. Questa, in un primo tempo, appare piuttosto casuale, e certamente non era intesa come un atto supremo e valevole per la Chiesa universale. Ma è chiaro che una canonizzazione fatta dal papa aveva una maggiore autorità; e perciò in un secondo tempo le richieste di autorizzazione papali di culto crebbero sempre più. Ma la procedura è la stessa come nella canonizzazione vescovile, e nella maggioranza dei casi il papa si limita a dare il suo consenso, mentre fuori, sul luogo, si procede in seguito alla solita solenne elevazione e inaugurazione del culto. I viaggi dei pontefici nei secoli XI e XII diedero ad essi occasione di procedere a tali elevazioni in persona. Insensibilmente la canonizzazione papale prese maggiore consistenza e valore canonico; si forma una procedura più rigida, e finalmente essa divenne la canonizzazione esclusiva e unicamente legittima".






Le canonizzazioni papali




I papi hanno provveduto all'allestimento delle cause di beatificazione e canonizzazione mediante la S. Congregazione dei Riti, istituita da Sisto V nel 1588 con la costituzione Immensa Aeterni Dei. Nel 1969 detta Congregazione è stata divisa in due da Paolo VI: in Congregazione per le cause dei Santi e in Congregazione per il culto divino. La procedura nelle cause di beatificazione e canonizzazione fu ristrutturata il 19-3-1969 con il motu proprio di Paolo VI Sanctitas clarior, e la costituzione apostolica Divinus perfectionis magister del 25-1-1983, di Giovanni Paolo II. I due processi, finora in uso, quello diocesano e quello apostolico per provare l'esistenza della fama di martirio o di santità, vengono unificati in una sola inchiesta istruttoria, condotta dal vescovo, la cui autorità ordinaria demandata viene ora confermata ed elevata da quella apostolica delegata.

La canonizzazione papale è un atto o sentenza definitiva con cui il Sommo Pontefice decreta che un servo di Dio, precedentemente beatificato, venga iscritto nel catalogo dei Santi e si veneri nella Chiesa universale con un culto di dulia. Una delle note proprie della Chiesa cattolica è quella della santità. Santo è infatti il fondatore di essa, santa ne è la dottrina, santo il fine che persegue, santi i membri che la compongono in virtù del battesimo dì acqua, dì sangue o dì desiderio. Giudice dì questa santità è soltanto il papa. Il diritto di dichiarare chi debba essere ritenuto e onorato come santo spetta soltanto a lui. Secondo la quasi unanimità dei teologi la canonizzazione dei santi impegna l'infallibilità pontificia. Non è concepibile, teologicamente parlando, che il papa possa fare onorare come "santo", qualcuno che non avesse realmente già raggiunto la gloria del paradiso.

A parte la considerazione che il Sommo Pontefice nell'esercizio del supremo magistero è illuminato e assistito dallo Spirito Santo, dobbiamo riconoscere che sono talmente minuziose le investigazioni, gli studi, gli accertamenti compiuti dai competenti sulla vita, le opere, gli scritti e le virtù dei servi di Dio, che è praticamente impossibile l'errore nelle canonizzazioni. Del resto, prima che il beato venga solennemente dichiarato "santo", si richiede che ottenga da Dio il compimento di miracoli, i quali saranno esaminati oltre che da medici e chirurghi nominati d'ufficio, da tre o più riunioni dei cardinali e dei consultori facenti parte della Sacra Congregazione per le cause dei Santi, l'ultima delle quali è presieduta dal papa.

Una volta che sono stati approvati i miracoli ed è stato promulgato il decreto nel quale è stabilito che si può procedere con sicurezza alla canonizzazione, la questione viene esaminata in 3 concistori consecutivi:
1) Il Concistoro segreto, in cui i cardinali residenti in Roma, muniti di documenti riguardanti la vita del beato e gli atti della causa, rispondono al Sommo Pontefice: Placet o Non ptacet.
2) Il Concistoro pubblico, solennissimo, cui prendono parte anche i vescovi che si trovano a Roma e gli ambasciatori delle nazioni cattoliche, accreditati presso la Santa Sede. Uno degli avvocati concistoriali espone la vita e i miracoli del beato e ne chiede la canonizzazione. Il segretario delle Lettere latine gli risponde in nome del papa; egli esorta i presenti a implorare i lumi divini con i digiuni e le preghiere, prima che i Cardinali e i Vescovi abbiano manifestato il loro proposito. 3) A tale scopo è indetto il Concistoro semipubblico al quale, oltre ai Cardinali e ai Vescovi residenti in Roma, sono invitati anche gli Abati nullius, perché, dopo aver preso in considerazione il compendio della vita del beato e i relativi atti, diano il loro suffragio. Quest'ultimo concistoro si apre e poi si chiude con una breve allocuzione del papa che annunzia il giorno in cui, nella basilica di San Pietro, compirà, secondo il solenne cerimoniale prescritto, l'atto della canonizzazione. Da quel momento il Santo novello potrà essere venerato in tutta la Chiesa con la celebrazione di Messe, con la costruzione di chiese e di altari in suo onore, e potrà essere raffigurato con attorno al capo l'aureola.

La prima canonizzazione papale storicamente sicura è quella che eseguì Giovanni XV il 31-1-993, durante il sinodo celebrato al Laterano, riguardo a S. Ulderico, vescovo di Augusta. Molti sono persuasi che i santi canonizzati siano migliaia e migliaia. La realtà è molto diversa poiché la santità vera, consumata, eroica è molto rara. Fino al 1990 i santi canonizzati in modo formale ed equipollente dai Sommi Pontefici sono circa 544, di cui 123 italiani, 96 vietnamiti, 93 sud coreani, 91 francesi, 61 spagnoli, 54 inglesi e gallesi, 22 ugandesi, 20 olandesi, 17 giapponesi, 15 tedeschi, 8 irlandesi, 7 polacchi, 4 portoghesi, 2 belgi, 2 svizzeri, ecc. I santi canonizzati, provenienti da famiglie nobili, sono un centinaio. Un bel numero se si considera quanto sia difficile rinunciare alle ricchezze per amore del regno dei cieli. Le donne canonizzate sono appena una ottantina. Dalle statistiche risulta che, dal 1860 al 1890, Pio IX ha elevato alla gloria degli altari 52 persone; Leone XIII 18; Pio X 5; Benedetto XV 2; Pio XI 33; Pio XII 33; Giovanni XXIII 11; Paolo VI 83; Giovanni Paolo Il 237.






Che cosa fecero i santi?




Tutti coloro che sono giunti agli onori degli altari hanno vissuto alla perfezione i consigli evangelici, e hanno praticato in grado eroico tutte le virtù, in modo speciale la fede, la speranza e la carità. Ciascuno di essi si distinse in qualche virtù particolare; tutti però si rassomigliano in tre aspetti fondamentali della vita ascetico-mistica:

1) Anzitutto i santi (siano essi canonizzati o no) furono tutti uomini di continua orazione. Essi hanno capito alla perfezione e praticato l'esortazione di S. Paolo: "Perseverate assiduamente nella preghiera, e vigilate in essa con azioni di grazia" (Col 4,2). Per attendervi, molti rinunciavano al sollievo corporale. Vivevano abitualmente immersi in Dio come il pesce nell'acqua.

2) Tutti i santi si sono conformati alla volontà di Dio e hanno sopportato con pazienza non solo le croci della vita, ma per vivere più realisticamente il mistero pasquale, hanno ricercato la sofferenza in mille diverse maniere, che hanno dell'incredibile. Noi, che viviamo in tempi di benessere e di comodità senza precedenti nella storia, stentiamo a credere ai flagelli, ai cilici, ai digiuni, alle macerazioni di ogni genere cui fecero ricorso i santi per scontare i propri peccati, e per ottenere pietà e misericordia da Dio per i misfatti che gli uomini quotidianamente commettono. Come S. Paolo, anch'essi hanno sentito l'incoercibile necessità di "dare compimento nella propria carne a ciò che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo corpo, che è la Chiesa" (Col 1,24), mossi a ciò dallo Spirito Santo e sostenuti dalla sua grazia senza la quale non è possibile persistere in tante penitenze.

3) Finalmente i santi hanno nutrito tutti un grande amore per i poveri, i malati, gli orfani, gli emarginati della società, i peccatori e hanno cercato di soccorrerli in tutte le maniere possibili. Nessuno più dei santi ha preso sul serio l'insegnamento di Gesù che dice: "Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. Questo il primo e massimo comandamento. Il secondo gli rassomiglia: ama il prossimo tuo come te stesso. A questi due comandamenti si riduce tutta la Legge e i Profeti(Mt 22,37s). Al dire di S. Paolo la carità è "il vincolo della perfezione" (Col 3,14) perché è il principio ispiratore di tutte le virtù e tiene strettamente uniti i cristiani tra loro.

Aveva ragione quindi S. Francesco di Sales di esortare monsignor Andrea Frémyot, arcivescovo di Bourges, di servirsi nella predicazione degli esempi tratti dalla vita dei santi, scrivendogli il 5-10-1604:
"Che cosa sono le vite dei santi, se non il Vangelo messo in pratica? Fra il Vangelo e le vite dei santi non passa maggiore differenza di quella che passa tra una musica scritta e una musica cantata".
Eppure, in questi tempi di contestazione e di critica, tanti dicono di non credere a quello che di meraviglioso viene narrato nelle vite dei santi benché essi siano considerati come gli autentici "profeti" del Nuovo Testamento. A questi ipercritici ha già risposto 900 anni or sono S. Bartolomeo il Giovane (+ 1065) il quale, nel prologo della vita di S. Nilo di Rossano, suo padre spirituale e maestro, così scrive: "A dire il vero in questi ultimi tempi... non si trova chi ami questo genere di narrazioni, e tanto meno che ne faccia diligente e amoroso studio; anzi, al contrario, vi sono molti che le mettono in derisione, che ne provano fastidio; giacché costoro alle antiche storie dei santi non credono assolutamente, e alle recenti negano fede. Chiudendosi per tal modo, a così dire, la via ad ogni loro vantaggio, essi si sono prefissi un solo scopo, quello cioè di misurare le cose narrate con il metro della loro intelligenza; rifiutando come falso, o quanto meno, come sospetto di falsità, tutto quanto supera la portata del loro intelletto".

C'è un serio motivo per dubitare dei fatti straordinari che si sono verificati nella vita di tanti santi? Assolutamente no, sia perché tali fatti sono più che sufficientemente documentati dai contemporanei, e sia perché i medesimi fenomeni soprannaturali si sono verificati in uomini e donne vissuti in secoli e luoghi diversi. Ad esempio, se le persecuzioni da parte del diavolo sono state,possibili nella vita di S. Giovanni M. Vianney, di S. Giovanni Bosco, di S. Gemma Galgani, perché attribuire a una pura invenzione di S. Atanasio quelle subite da S. Antonio abate nel deserto? Altrettanto si dica dei miracoli operati in vita dai santi. Il Vecchio Testamento non è pieno di prodigi operati da Dio per dimostrare al popolo eletto che Lui soltanto era il vero Signore da adorare e amare? E il Vangelo non riferisce i prodigi operati da Gesù per dimostrare che soltanto Lui era veramente il Messia, il Figlio di Dio incaricato di redimere il mondo dal peccato e dalla morte? Perché considerare come leggende i portenti che Egli continua ad operare nel corso della storia per mezzo dei suoi servi più fedeli, ai quali ha affidato compiti straordinari a beneficio della Chiesa e dell'umanità?
È pacifico che molte volte gli scrittori delle vite dei santi si sono lasciati prendere la mano nell'esaltazione del loro eroe dipingendolo con colori irreali, eccessivamente distaccato dal suo ambiente e dai suoi difetti. Tuttavia chi sa leggere, per esempio, tra le righe dei Fioretti di S. Francesco, non troverà difficoltà a discernere quanto in essi è leggendario o frutto di fantasia, da quello che è invece storico e frutto della grazia di Dio.

Tutti i secoli, per quanto burrascosi, ebbero i loro santi, provenienti da tutte le categorie sociali. Il Concilio Vaticano II afferma nella costituzione dogmatica Lumen Gentium che "tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità" (n. 39), "alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (n. 40, b). In realtà, la storia delle canonizzazioni pontificie ci dice che le anime veramente generose sono poche. Di fronte al sacrificio molti si scoraggiano e rinunciano alla lotta. Anziché inerpicarsi con cuore magnanimo su per la montagna della perfezione, preferiscono adagiarsi al piano, paghi della loro "aurea mediocrità".

Insegna ancora il Concilio che "nei vari generi di vita e nei vari uffici un'unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adoranti in spirito e verità Dio Padre, seguono Cristo povero, umile e carico della croce per meritare di essere partecipi della sua gloria. Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità" (n. 41). Queste verità sono state messe in pratica alla lettera da quanti sono stati elevati all'onore degli altari. Aveva ragione, quindi, S. Brigida di dire ai suoi figli spirituali: "Dopo la Bibbia nulla vi stia più a cuore delle vite dei santi".






Dobbiamo conoscerli e imitarli?




Alle ore 12 di domenica 31-5-1970, Paolo VI, dopo il rito della canonizzazione di S. Giovanni d'Avila, rivolse ai fedeli convenuti sulla piazza di S. Pietro, prima della recita dell'Angelus, la seguente esortazione:

"Questa canonizzazione ci fa pensare al patrimonio di uomini eletti, posseduto dalla Chiesa e via via accresciuto nel corso dei secoli; non è soltanto un patrimonio di memorie degne di essere ricordate dagli storici e dai compaesani; ed è già cosa singolare e mirabile; non è soltanto una tradizione del passato, altra cosa preziosa che il tempo non riesce a consumare; ma è un patrimonio vivo, di personalità di prim'ordine, che sono ancora con noi, anzi più che mai dopo che è loro riconosciuta la santità, che li iscrive in quella comunione dei Santi, ch'è la Chiesa; la Chiesa celeste specialmente la quale, in Cristo e mediante lo Spirito, comunica anche con noi, ancora membri della Chiesa terrestre e pellegrina in questo tempo e in questo mondo".

"Se esiste questa comunione dei Santi - ed esiste! - non faremmo bene a profittarne un po' di più di quanto oggi non si faccia? Conoscerli questi Santi, onorarli ed invocarli, e soprattutto imitarli, dobbiamo".

"Ne avremmo conforto a ben pensare dell'umanità e a ben vivere la vita cristiana. Senza forse che lo riconosciamo, sta il fatto che noi ci lasciamo impressionare dalle figure degli uomini singolari, dalle figure degli artisti, ad esempio, degli sportivi, degli eroi, dei potenti; e sta bene, questo è fenomeno della convivenza umana; è un mimetismo al quale, più o meno, non si sfugge. Se conoscessimo meglio i Santi, potrebbe darsi che diventassimo anche noi più buoni, più fedeli, più cristiani, e non sarebbe forse una bella cosa?"

"Vediamo di capire la Chiesa che onora Cristo onorando i suoi migliori seguaci, e facciamo anche noi qualche passo per metterci in linea.

Maria è in testa, e ci invita".

Paolo VI nel corso della canonizzazione di S. Teresa di Gesù Jornet e Ibars, che si svolse in S. Pietro il 27-1-1974, ebbe ancora a dire:

"Non possiamo tacere l'elogio dello studio dei Santi, cioè della agiografia. Se ogni studio della vita umana, considerata nella sua esistenziale fenomenologia, è sempre interessantissimo (quanta scienza, quante arti vi trovano il loro inesauribile nutrimento!), quale interesse, quale passione dovrebbe avere per noi lo studio dell'agiografia, cioè delle vite dei Santi, nei quali questo soggetto di studio, ch'è il volto umano, svela segreti di ricchezza, di avventura, dì sofferenze, di sapienza, dì drammaticità, in una parola, di virtù, che non possiamo riscontrare in pari vigore di esperienza e di espressione, e finalmente di ottimista affermazione, in altri viventi, siano pur essi dotati di straordinarie qualità. La parola "edificazione" è qui appropriata; la conoscenza della vita dei Santi è per eccellenza una edificazione. Così ricordassero i nostri maestri di spirito e di umanesimo e i nostri educatori del popolo la prodigiosa, staremmo per dire la misteriosa efficacia pedagogica e formativa d'attingere alla scuola dei Santi la vocazione e l'arte di vivere bene, da veri uomini e da veri cristiani!".

Gli stessi concetti sono ribaditi ogni tanto da Giovanni Paolo II nei discorsi che fa al popolo di Dio in occasione della glorificazione di beati e di santi. Nel mese di maggio 1980, disse a Lisieux durante la sua visita alla tomba di S. Teresa di Gesù Bambino:

"I santi non invecchiano mai, essi non cadono in prescrizione. Essi restano continuamente i testimoni della giovinezza della Chiesa. Essi non diventano mai personaggi del passato, uomini e donne di "ieri". Al contrario: essi sono sempre gli uomini e le donne di "domani", gli uomini dell'avvenire evangelico dell'uomo e della Chiesa,i testimoni del "mondo futuro".

A un gruppo di pellegrini polacchi in visita alle memorie degli apostoli, l'11-10-1982 proclamò:

"I santi sono nella storia per costituire i permanenti punti di riferimento, sullo sfondo del divenire dell'uomo e del mondo. Ciò che si manifesta in essi è duraturo e intramontabile. Testimonia dell'eternità. Da questa testimonianza l'uomo attinge, sempre di nuovo, la coscienza della sua vocazione e la sicurezza dei destini. In tale direzione i santi guidano la Chiesa e l'umanità".

Nel discorso che Giovanni Paolo II tenne a Lucca il 23-9-1989 ai giovani nel corso della sua visita pastorale, tra l'altro disse:

"I Santi, che in ogni epoca della storia hanno fatto risplendere nel mondo un riflesso della luce di Dio, sono i testimoni visibili della santità misteriosa della Chiesa. Questa vostra terra, carissimi giovani, è stata percorsa, anche in tempi recenti, da Santi a voi familiari. Per conoscere in profondità la Chiesa è a loro che dovete guardare! E non soltanto ai Santi canonizzati, ma anche a tutti i Santi nascosti, anonimi, che hanno cercato di calare il Vangelo nella ferialità dei loro doveri quotidiani. Essi esprimono la Chiesa nella sua verità più intima; e, al tempo stesso, essi salvano la Chiesa dalla mediocrità, la riformano dal di dentro, la sollecitano ad essere sempre più ciò che deve essere, la Sposa di Cristo senza macchia né ruga" (cf. Ef 5,27).













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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