Chi è Dio?
I Cristiani sono assolutamente monoteisti ed è loro premura conservare questo monoteismo, che essi hanno ricevuto da Israele. Dio è uno.
In questa cornice, essi credono che Dio si sia rivelato come Signore e Salvatore attraverso ed in Gesù Cristo. Questo presuppone che Dio si è reso presente in Gesù Cristo senza tuttavia semplicemente esaurirsi in lui.
In Gesù l'umanità non assorbe la divinità e la divinità non annulla l'umanità.
Fin dalle origini del Cristianesimo questi concetti sono stati le pietre angolari della riflessione teologica e dell'esperienza spirituale che hanno condotto alla dottrina della Trinità. La Buona Novella (euangelion) che abbiamo ricevuto da Gesù non è solamente che Dio esiste e che è uno; essa ci dice anche chi Dio sia.
Gesù conduce i suoi discepoli alla conoscenza amorosa di Dio e alla comunione con lui:
"Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Ebrei 1,1-2).
Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cf. Giovanni 1,1-18).
Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» (Giovanni 3,34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf. Giovanni 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cf. Giovanni 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna". (1)
Padre - Figlio
Sostenuti dalle azioni, dal comportamento e dalle parole di Gesù, i primi ispirati testimoni (apostoli ed evangelisti) si sono serviti della parola "Figlio" per descrivere l'eccezionale relazione tra Gesù di Nazaret e colui che egli chiamava Padre suo e a cui si rivolgeva pregando con le parole "Abba-Padre". Essi hanno visto, nella vita di Gesù, che egli rivendicava di esercitare veramente un potere divino, come ad esempio quello di perdonare i peccati. Da questo hanno dedotto che c'è una distinzione in Dio tra l'origine di tutto, la sorgente dell'essere e della vita (il Padre) e colui a cui questa sorgente conferisce la vita, il primogenito di tutta la creazione (il Figlio). Questo Figlio riceve il suo essere interamente dal Padre in una relazione di totale sottomissione e di amore. Gesù dunque non esiste da sé stesso; egli è totalmente dal Padre, che gli dà tutto ciò che egli è.
Egli diviene così un riflesso del Padre, "uguale al Padre", avendo ricevuto ogni cosa dal Padre. Il concetto di “Parola” sviluppato dal pensiero greco classico, aiuta a chiarire la relazione Padre-Figlio in Dio.
La Parola è prodotta dall'Intelligenza per esprimere la sua natura;
la Parola è distinta dall'Intelligenza ma allo stesso tempo la manifesta.
Ed è la Parola che, in Gesù Cristo, si fa carne, uomo.
Attraverso la Parola nello Spirito
Dunque il Padre "genera" il Figlio-Parola e attraverso di lui crea il mondo, poiché la Parola di Dio è efficace, ha potere creativo, producendo tutto ciò che esiste. L'intera creazione porta così il segno di questa Parola del Padre e può essere fonte per la conoscenza di Dio (come affermano i primi Padri della Chiesa parlando di "semi della Parola").
Questa creazione trova la sua pienezza nell'uomo, creato da Dio a sua immagine e a sua somiglianza (Genesi 1, 26).
L'uomo raggiunge la sua perfezione quando ritrova questa somiglianza con Dio e la Parola che si è fatta uomo gli schiude il cammino verso questa meta. Grazie a Gesù l'umanità può entrare in una giusta relazione con il Padre che è la sorgente della vita di Gesù. Questa dote, la predisposizione dell'essere umano verso Dio, è l'opera dello Spirito Santo in noi (come lo fu in Gesù).
Lo Spirito dell'amore di Dio ci rende possibili la relazione filiale col Padre e quella fraterna col Figlio, alle quali noi siamo destinati nella e attraverso la Parola di Dio.
L'apostolo Paolo ci dice che attraverso lo Spirito Santo possiamo chiamare Dio "Abba" (Galati 4,6). Diventiamo così "figli di Dio per adozione". Noi viviamo "per Cristo, con Cristo e in Cristo" (la dossologia della preghiera eucaristica).
Padre – Figlio - Spirito
Un'ulteriore seconda distinzione appare in Dio. Già nell'Antico Testamento si faceva menzione del nome dello Spirito per indicare la forza creativa di Dio, il suo "alito di vita" (rûah in ebraico, rûh in arabo). Questo stesso Spirito ispirò i profeti e condusse il popolo d'Israele, orientò il suo pensiero al riconoscimento del vero Dio e guidò la sua storia affinché esso si conformasse alla volontà di Dio.
Attraverso lo Spirito il Creatore rimane in un rapporto vivo con la sua creazione e la creazione resta aperta all'opera del Creatore. Gesù conferma questa rivelazione soprattutto nella sua persona poiché è stato "concepito dallo Spirito Santo", che in lui unisce divinità e umanità.
Nello Spirito Gesù è "Figlio" di Dio, ed è lo Spirito (si veda in particolare il Vangelo di Luca) che è fonte del suo agire.
Ma Gesù ci informa anche che questo Spirito è colui che fonda la comunione che lo unisce al Padre e li rende una cosa sola. Questa stretta relazione però non può essere altro che divina: solo Dio può unire a Dio.
Questo Spirito è dunque della stessa natura del Padre e del Figlio: egli è divino. Egli è il vincolo della comunione in Dio stesso, il principio della sua unità.
Amore vicendevole tra Padre e Figlio, non è solamente attributo divino, ma veramente Dio. Da qui l’antica pratica, tra i primi Cristiani, di offrire preghiere "al Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito".
Ci volgiamo alla sorgente della nostra vita attraverso Gesù, che seguiamo, nello Spirito, che egli ci dona col battesimo e che ci riunisce al Padre come suoi figli "adottivi".
Comunione nell'Amore
Lo Spirito è dunque la "legge interiore" che guida i Cristiani sul cammino di Dio. Egli diede vita a Gesù. Egli dà vita anche a noi. Così l'intera creazione è chiamata ad entrare in quella amorevole comunione con Dio che è Dio stesso. Lo Spirito è dato agli uomini affinché diventino essi stessi operatori liberi e creativi di questa riconciliazione universale che consiste nella cooperazione tra la creazione e l'umanità. L'unità è davvero sorgente e punto d’arrivo dell'intera opera di Dio, poiché l'unità è in Dio stesso. Ciò che distingue i Cristiani dai Musulmani è che i primi credono che questa unità sia comunione, in una amorevole relazione.
"Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, anzi segnatamente fra i popoli, essa [la Chiesa] in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino.
I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti (cf. Sapienza 8,1; At 14,17; Romani 2,6-7; 1Timoteo 2,4) finché gli eletti saranno riuniti". (2)
Trinità
La Trinità di Dio è fondamentale per la fede cristiana. Essa ci sottrae al fascino degli idoli, che non sono Dio, e ci orienta all'adorazione dell'unico, solo e vero Dio vivente. Ancora di più, essa è la fonte dell'unità del genere umano che è chiamato ad entrare nella comunione divina attraverso lo Spirito Santo.
"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi ... In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ... Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Giovanni 14,15-18.20.23)".
Attraverso il Battesimo i Cristiani sono diventati, nello Spirito, "membra" del Corpo di Cristo. In questo Corpo continuano la missione di Gesù: liberare l'uomo prigioniero delle forze della morte. Assunti nel suo Corpo entrano nella vita eterna, che consiste nella comunità di vita con Dio. Essi ricevono questo dono (che è Gesù stesso) e si sforzano di vivere mediante questo. Essi cercano di perseverare nell’adorazione del mistero divino e di lasciarsi condurre dallo Spirito Santo.
"A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli!" (Efesini 3,20-21).
Le origini della dottrina della Trinità
È importante soffermarci sulle origini della dottrina Trinitaria.
In questo contesto dobbiamo distinguere tra il contenuto del dogma ed il suo ambito culturale.
- Gesù appartiene al popolo eletto d'Israele. Il suo pensiero è totalmente permeato dallo spirito di un puro monoteismo (Marco 12,28-34). La Bibbia parla spesso della gelosia dell'unico e solo Dio riguardo ai falsi dei. Gesù non dice di essere Dio ma si definisce "Figlio di Dio" (Giovanni 10,36), o semplicemente "il Figlio" (cf. Matteo 11,27). Gesù indica la sua origine "celeste" usando l'espressione "Figlio dell'Uomo", che riprende della visione di Daniele (Daniele 7). Fondamentale è che Gesù vive in una particolare relazione con l'unico Dio, che egli osa chiamare "Abba" ("Padre", "Papà"). Al tempo di Gesù i titoli "Figlio di Dio" e "Messia" erano di per sè troppo vaghi per trasmettere ciò che Gesù riteneva di essere. Gesù parla solo raramente dello Spirito Santo benchè viva l'intera sua vita nella forza dello Spirito.
- E' solamente dopo la Passione e la Resurrezione di Gesù che gli apostoli, grazie ad una profonda ispirazione dello Spirito, comprendono il significato di ciò che hanno vissuto con Gesù. Riescono così a riconoscere che questo Cristo (il Messia), vivente, resuscitato dai morti, è lo stesso Gesù di Nazaret con cui hanno vissuto e che hanno visto morire sulla croce. Osano confessare che egli è Salvatore e Signore, e che nel suo rapporto col Padre egli è, in modo assolutamente unico, il Figlio di Dio. A questo punto le "formule trinitarie" diventano più frequenti, viene usato il titolo "Figlio di Dio" e si parla anche di "Spirito di Dio" (pneuma in Greco, l’alito divino), la cui presenza gli apostoli hanno sperimentato in modo così potente, ancor prima di avergli dato un nome preciso. Giungiamo così alla professione di fede fondamentale del cristianesimo: cioè che Dio è Padre, Figlio e Spirito. Questa confessione deve la sua esistenza alla realtà di Gesù risorto e si fonda nella fede degli Apostoli.
- A causa delle molte eresie cristologiche del III e IV secolo, si rese necessario rafforzare la fede tanto nell’unità di Dio quanto nella realtà del Padre, del Figlio e dello Spirito. Un graduale processo di maturazione condusse fino alla formula del IV Concilio Lateranense del 1215, che precisò che vi sono distinzioni tra le persone ma unità nella natura (divina) è una, ma che essa consiste contemporaneamente di tre persone. Il Padre è origine non originata, il Figlio deve la sua origine al Padre sin dall’eternità, e lo Spirito procede da entrambi. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono, dunque, della stessa sostanza. (3)
Note:
(1) Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione: Dei Verbum, 4.
(2) Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane: Nostra Aetate, 1.
(3) I concetti di "natura", "sostanza" e soprattutto "persona" provengono dalla filosofia del tempo, quando i loro significati indicavano tutt’altro rispetto ad oggi. Il contenuto dottrinale di questi concetti può essere correttamente conservato solamente attribuendogli il valore metafisico che essi avevano al tempo del Concilio. Così "persona" (traduzione di hypóstasis) indica che Dio opera e vive in una relazione. Se invece si prende “persona” nel senso di una personalità individuale, cioè come autonomo centro di coscienza psicologica, allora si fa dire ai Concilii esattamente l'opposto di ciò che intendevano enunciare. "Persona" indicherebbe in questo caso ciò che i Concilii cercavano di esprimere con il concetto di "natura", da cui conseguirebbe che in Dio ci sarebbero tre distinte
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PREGHIERA al Dio uno e trino
"Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Perché la Verità non avrebbe detto: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19), se tu non fossi Trinità.
Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. E una voce divina non avrebbe detto: Ascolta Israele: il Signore Dio tuo è un Dio unico (Dt 6,4), se tu non fossi Trinità in tal modo da essere un solo Signore e Dio. E se tu fossi Dio Padre e fossi pure il Figlio tuo Verbo, Gesù Cristo, e il vostro dono lo Spirito Santo, non leggeremmo nelle Scritture: Dio ha mandato il Figlio suo (Gal 4,4; Gv 3,17), né tu, o unigenito, diresti dello Spirito Santo: Colui che il Padre manderà in mio nome (Gv 14,26) e: Colui che io manderò da presso il Padre (Gv 15,26).
Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato e ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, e ho molto disputato e molto faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre il tuo volto con ardore. Dammi tu la forza di cercare, tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando tu mi abbia riformato interamente. So che sta scritto: Quando si parla molto, non manca il peccato (Pr 10,19), ma potessi parlare soltanto per predicare la tua parola e dire le tue lodi! Non soltanto eviterei allora il peccato, ma acquisterei meriti preziosi, pur parlando molto. Perché quell’uomo di cui tu fosti la felicità non avrebbe comandato di peccare al suo vero figlio nella fede, quando gli scrisse: Predica la parola, insisti a tempo e fuori tempo (2Tm 4,2). Non si dovrà dire che ha molto parlato colui che non taceva la tua parola, Signore, non solo a tempo, ma anche fuori tempo? Ma non c’erano molte parole, perché c’era solo il necessario.
Liberami, o mio Dio, dalla verbosità di cui soffro nell’interno della mia anima misera alla tua presenza e che si rifugia nella tua misericordia. Infatti non tace il pensiero, anche quando tace la mia bocca. Se almeno non pensassi se non ciò che ti è grato, certamente non ti pregherei di liberarmi dalla verbosità. Ma molti sono i miei pensieri, tali quali tu sai che sono i pensieri degli uomini, cioè vani. Concedimi di non consentirvi e, anche quando vi trovo qualche diletto, di condannarli almeno e di non abbandonarmi ad essi come in una specie di sonno. Né essi prendano su di me tanta forza da influire in qualche modo sulla mia attività, ma almeno siano al sicuro dal loro riflusso i miei giudizi, sia al sicuro la mia coscienza, con la tua protezione.
Parlando di te, un sapiente nel suo libro, che si chiama Ecclesiastico, ha detto: Molto potremmo dire senza giungere alla meta, la somma di tutte le parole è: lui è tutto (Sir 43,29). Quando dunque arriveremo alla tua presenza, cesseranno queste «molte parole che diciamo senza giungere a te»; tu resterai, solo, tutto in tutti (1Cor 15,28), e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio e divenuti anche noi una sola cosa con te. Signore, unico Dio, Dio-Trinità, sappiano essere riconoscenti anche i tuoi per tutto ciò che è tuo di quanto ho scritto in questi libri. Se in essi c’è del mio, siimi indulgente tu e lo siano i tuoi. Amen."
Agostino, La Trinità, 15,51