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San Filippo Neri














Cenni biografici:




Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515, e riceve il battesimo nel "bel san Giovanni" dei Fiorentini il giorno seguente, festa di S. Maria Maddalena.


La famiglia dei Neri, che aveva conosciuto in passato una certa importanza, risentiva allora delle mutate condizioni politiche e viveva in modesto stato economico. Il padre, ser Francesco, era notaio, ma l'esercizio della sua professione era ristretto ad una piccola cerchia di clienti; la madre, Lucrezia da Mosciano, proveniva da una modesta famiglia del contado, e moriva poco dopo aver dato alla luce il quarto figlio.


La famiglia si trovò affidata alle cure della nuova sposa di ser Francesco, Alessandra di Michele Lenzi, che instaurò con tutti un affettuoso rapporto, soprattutto con Filippo, il secondogenito, dotato di un bellissimo carattere, pio e gentile, vivace e lieto, il "Pippo buono" che suscitava affetto ed ammirazione tra tutti i conoscenti.


Dal padre, probabilmente, Filippo ricevette la prima istruzione, che lasciò in lui soprattutto il gusto dei libri e della lettura, una passione che lo accompagnò per tutta la vita, testimoniata dall'inventario della sua biblioteca privata, lasciata in morte alla Congregazione romana, e costituita di un notevole numero di volumi.
La formazione religiosa del ragazzo ebbe nel convento dei Domenicani di San Marco un centro forte e fecondo.
Si respirava, in quell'ambiente, il clima spirituale del movimento savonaroliano, e per fra Girolamo Savonarola Filippo nutrì devozione lungo tutto l'arco della vita, pur nella evidente distanza dai metodi e dalle scelte del focoso predicatore apocalittico.


Intorno ai diciotto anni, su consiglio del padre, desideroso di offrire a quel figlio delle possibilità che egli non poteva garantire, Filippo si recò da un parente, avviato commerciante e senza prole, a San Germano, l'attuale Cassino.
Ma l'esperienza della mercatura durò pochissimo tempo: erano altre le aspirazioni del cuore, e non riuscirono a trattenerlo l'affetto della nuova famiglia e le prospettive di un'agiata situazione economica.


Lo troviamo infatti a Roma, a partire dal 1534. Vi si recò, probabilmente, senza un progetto preciso. Roma, la città santa delle memorie cristiane, la terra benedetta dal sangue dei martiri, ma anche allettatrice di tanti uomini desiderio di carriera e di successo, attrasse il suo desiderio di intensa vita spirituale: Filippo vi giunse come pellegrino, e con l'animo del pellegrino penitente, del "monaco della città" per usare un'espressione oggi di moda, visse gli anni della sua giovinezza, austero e lieto al tempo stesso, tutto dedito a coltivare lo spirito.


La casa del fiorentino Galeotto Caccia, capo della Dogana, gli offrì una modesta ospitalità - una piccola camera ed un ridottissimo vitto - ricambiata da Filippo con l'incarico di precettore dei figli del Caccia.
Lo studio lo attira - frequenta le lezioni di filosofia e di teologia dagli Agostiniani ed alla Sapienza - ma ben maggiore è l'attrazione della vita contemplativa che impedisce talora a Filippo persino di concentrarsi sugli argomenti delle lezioni.


La vita contemplativa che egli attua è vissuta nella libertà del laico che poteva scegliere, fuori dai recinti di un chiostro, i modi ed i luoghi della sua preghiera: Filippo predilesse le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, il sagrato delle chiese durante le notti silenziose. Coltivò per tutta la vita questo spirito di contemplazione, alimentato anche da fenomeni straordinari, come quello della Pentecoste del 1544, quando Filippo, nelle catacombe si san Sebastiano, durante una notte di intensa preghiera, ricevette in forma sensibile il dono dello Spirito Santo che gli dilatò il cuore infiammandolo di un fuoco che arderà nel petto del santo fino al termine dei suoi giorni.


Questa intensissima vita contemplativa si sposava nel giovane Filippo ad un altrettanto intensa, quanto discreta nelle forme e libera nei metodi, attività di apostolato nei confronti di coloro che egli incontrava nelle piazze e per le vie di Roma, nel servizio della carità presso gli Ospedali degli incurabili, nella partecipazione alla vita di alcune confraternite, tra le quali, in modo speciale, quella della Trinità dei Pellegrini, di cui Filippo, se non il fondatore, fu sicuramente il principale artefice insieme al suo confessore P. Persiano Rosa.


A questo degnissimo sacerdote, che viveva a san Girolamo della Carità, e con il quale Filippo aveva profonde sintonie di temperamento lieto e di impostazione spirituale, il giovane, che ormai si avviava all'età adulta, aveva affidato la cura della sua anima.
Ed è sotto la direzione spirituale di P. Persiano che maturò lentamente la chiamata alla vita sacerdotale. Filippo se ne sentiva indegno, ma sapeva il valore dell'obbedienza fiduciosa ad un padre spirituale che gli dava tanti esempi di santità. A trentasei anni, il 23 maggio del 1551, dopo aver ricevuto gli ordini minori, il suddiaconato ed il diaconato, nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso in Parione, il vicegerente di Roma, Mons. Sebastiano Lunel, lo ordinava sacerdote.


Messer Filippo Neri continuò da sacerdote l'intensa vita apostolica che già lo aveva caratterizzato da laico. Andò ad abitare nella Casa di san Girolamo, sede della Confraternita della Carità, che ospitava a pigione un certo numero di sacerdoti secolari, dotati di ottimo spirito evangelico, i quali attendevano alla annessa chiesa.
Qui il suo principale ministero divenne l'esercizio del confessionale, ed è proprio con i suoi penitenti che Filippo iniziò, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che costituiscono l'anima ed il metodo dell'Oratorio. Ben presto quella cameretta non bastò al numero crescente di amici spirituali, e Filippo ottenne da "quelli della Carità" di poterli radunare in un locale, situato sopra una nave della chiesa, prima destinato a conservare il grano che i confratelli distribuivano ai poveri.


Tra i discepoli del santo, alcuni - ricordiamo tra tutti Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, i futuri cardinali - maturarono la vocazione sacerdotale, innamorati del metodo e dell'azione pastorale di P. Filippo. Nacque così, senza un progetto preordinato, la "Congregazione dell'Oratorio": la comunità dei preti che nell'Oratorio avevano non solo il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di apostolato. Insieme ad altri discepoli di Filippo, nel frattempo divenuti sacerdoti, questi andarono ad abitare a San Giovanni dei Fiorentini, di cui P. Filippo aveva dovuto accettare la Rettoria per le pressioni dei suoi connazionali sostenuti dal Papa. E qui iniziò tra i discepoli di Filippo quella semplice vita famigliare, retta da poche regole essenziali, che fu la culla della futura Congregazione.


Nel 1575 Papa Gregorio XIII affidò a Filippo ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa di S. Maria in Vallicella, a due passi da S. Girolamo e da S. Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso con la Bolla "Copiosus in misericordia Deus" la "Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda". Filippo, che continuò a vivere nell'amata cameretta di San Girolamo fino al 1583, e che si trasferì, solo per obbedienza al Papa, nella nuova residenza dei suoi preti, si diede con tutto l'impegno a ricostruire in dimensioni grandiose ed in bellezza la piccola chiesa della Vallicella.


Qui trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita, nell'esercizio del suo prediletto apostolato di sempre: l'incontro paterno e dolcissimo, ma al tempo stesso forte ed impegnativo, con ogni categoria di persone, nell'intento di condurre a Dio ogni anima non attraverso difficili sentieri, ma nella semplicità evangelica, nella fiduciosa certezza dell'infallibile amore divino, nella letizia dello spirito che sgorga dall'unione con Dio. Si spense nelle prime ore del 26 maggio 1595, all'età di ottant'anni, amato dai suoi e da tutta Roma di un amore carico di stima e di affezione.


La sua vita è chiaramente suddivisa in due periodi di pressoché identica durata: trentasei anni di vita laicale, quarantaquattro di vita sacerdotale. Ma Filippo Neri, fiorentino di nascita - e quanto amava ricordarlo! - e romano di adozione - tanto egli aveva adottato Roma, quanto Roma aveva adottato lui! - fu sempre quel prodigio di carità apostolica vissuta in una mirabile unione con Dio, che la Grazia divina operò in un uomo originalissimo ed affascinante.


"Apostolo di Roma" lo definirono immediatamente i Pontefici ed il popolo Romano, attribuendogli il titolo riservato a Pietro e Paolo, titolo che Roma non diede a nessun altro dei pur grandissimi santi che, contemporaneamente a Filippo, aveva vissuto ed operato tra le mura della Città Eterna. Il cuore di Padre Filippo, ardente del fuoco dello Spirito, cessava di battere in terra in quella bella notte estiva, ma lasciava in eredità alla sua Congregazione ed alla Chiesa intera il dono di una vita a cui la Chiesa non cessa di guardare con gioioso stupore. Ne è forte testimonianza anche il Magistero del Santo Padre Giovanni Paolo II che in varie occasioni ha lumeggiato la figura di san Filippo Neri e lo ha citato, unico dei santi che compaiano esplicitamente con il loro nome, nella Bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000.








"Bisogna desiderare di fare cose grandi per servizio di Dio e non contentarsi di una bontà mediocre"

San Filippo Neri









I luoghi di S.Filippo Neri




S. Filippo nel suo apostolato prima come laico, poi come sacerdote visse ed operò in molte chiese romane.
Qui di seguito tracceremo un itinerario di questi luoghi.



S.Eustachio

In un appartamento nei pressi della chiesa, Filippo Neri vive, esercitando il mestiere di precettore dei due figli di Galeotto Caccia (dei quali uno diverrà prete e l'altro monaco).



SS.Trinità dei Pellegrini

Legata alla fondazione dell'Arciconfraternita dei Pellegrini e dei convalescenti, istituita da S.Filippo nel 1548 e avente finalità di accoglienza dei pellegrini, soprattutto durante gli Anni Santi, legata alla rinascita religiosa che si avverte a Roma dopo il “sacco” del 1527. La Confraternita si incaricava dell'ospitalità dei pellegrini giunti a Roma. Nobili e gentildonne, guidati da S.Filippo, prestavano la loro opera caritatevole. Questa Chiesa era tra le più antiche di Roma. Venne ricostruita nel 1603-16 dal Maggi. L'Ospizio che si apre a fianco della Chiesa venne eretto nelle forme attuali in occasione del Giubileo del 1625. In questi locali, usati come infermeria durante l'assedio del 1849, morì Mameli. Da notare due acquasantiere poste all'esterno che servivano per farsi il segno della croce prima di entrare ed uscire dall'Ospizio.



S.Giovanni in Laterano

D.Persiano Rosa, suo padre spirituale, che risiede all'epoca a S.Girolamo della Carità, lo guida a divenire sacerdote.
Nella Basilica di S.Giovanni, Filippo Neri viene ordinato diacono il 29 marzo 1551.



S.Tommaso in Parione

Nella chiesa di S.Tommaso in Parione, vicino piazza Navona, Filippo viene ordinato sacerdote il 23 maggio 1551.



S.Girolamo della Carità

Dal 1551 Filippo Neri per ben trentadue anni è ospite della Chiesa di S.Girolamo della Carità. Trova infatti congeniale al suo spirito l'ordine spontaneo che regna nel convento. Accetta la vita comune del clero, vivendo nella stessa comunità in cui abita il suo padre spirituale, insieme al altri sacerdoti. S.Girolamo della Carità nel Cinquecento è un centro poco frequentato, ma con l'arrivo di Filippo diventerà la meta più ricercata dalla popolazione, richiamata dalla sua personalità piena di fascino.
A quell'epoca la Chiesa presentava un orientamento perpendicolare a quello attuale (quindi parallelo al corso del Tevere) con l'ingresso su piazza S.Caterina della Rota. Dell'edificio originale, distrutto da un incendio nel 1631 non rimane nessun reperto a causa della totale ricostruzione avvenuta durante il XVII secolo. L'interno è di Domenico Castelli la facciata di Carlo Rainaldi. Di particolare suggestione le stanze disposte su tre piani che contengono i ricordi di S.Filippo.



S.Giovanni dei Fiorentini

S.Filippo, nel 1564, divenne rettore della Chiesa. Qui avviene la grande azione della apostolato di “Pippo il buono”: accoglienza di laici e religiosi con i quali S.Filippo prega nella semplicità a lui congeniale. Fu papa Leone X a volere la chiesa Al progetto lavorarono in successione Sangallo il giovane, Baldassarre Peruzzi e Michelangelo. La cupola viene realizzata da Carlo Maderno nel 1602 e la facciata, del 1734, è opera di Alessandro Galilei. L'interno a 3 navate, a croce latina, è riccamente decorato con affreschi legati alle tematiche del Concilio di Trento (anche se parzialmente modificati successivamente).



S.Maria in Vallicella

Gregorio XIII affida a Filippo, nel 1575, l'antica chiesa. Essa è ridotta in rovina e per metà interrata. Scartata l'idea di restaurarla, i padri optano per la sua demolizione e ricostruzione. I lavori hanno inizio immediatamente, secondo un progetto di Matteo da Castello. La fede e la tenacia di Filippo riescono a superare le molte difficoltà e controversie. Egli afferma infatti che, secondo un suo patto con la Vergine, la chiesa sarebbe sorta prima della sua morte. Nel 1577 la chiesa è dotata di copertura lignea ed i preti possono stabilirvisi. L'interno è progettato dall'architetto Martino Longhi, con la collaborazione di Giacomo della Porta. La chiesa viene solennemente consacrata nel 1599.



L'Oratorio dei Filippini

La consapevolezza di dover affrontare il problema della formazione cristiana degli uomini del suo tempo lo aveva portato a dar vita agli incontri che chiamerà “l'oratorio”, incentrati su di una educazione alla fede cristiana, attraverso la conoscenza e la meditazione delle vite dei santi alternata ad orazioni e canti, dando a tutti i partecipanti la possibilità di intervenire e di dibattere su questioni di varia natura. L'Oratorio divenne sede della riforma musicale, avvenuta proprio in questo luogo. Lentamente, infatti, le laudi monodiche si trasformarono in composizioni a più voci (ad “Oratorio”).
Il più noto compositore, amico di Filippo Neri è Giovanni Animuccia.
Gli incontri dell'oratorio avvennero nelle stesse stanze delle chiese dove Filippo abitò. L'attuale edificio viene, invece, costruito da Francesco Borromini, dopo la morte di S.Filippo, dal 1638 al 1640 e si affianca alla facciata della Chiesa di S.Maria in Vallicella, alla quale rimane subordinato per altezza e per il materiale usato (in mattoni), con elementi decorativi in travertino. La facciata con andamento leggermente concavo, vuole raffigurare l'abbraccio cordiale dei Filippini.
L'interno è concepito in funzione della grande sala dell'Oratorio, dove, nelle pareti ad intonaco, vengono ripetute le tipologie esterne e con l'utilizzazione della pianta ellittica si viene a creare una nuova concezione di sala dove tutti potessero vedersi mentre pregano, cantano o parlano.
Oltre a questo spazio centrale esistono altri ambienti, come la biblioteca, legati alla vita quotidiana dei Filippini.















Massime e ricordi di San Filippo Neri




Uno dei massimi storici dell'Oratorio, il compianto padre Antonio Cistellini,
d.O. di Firenze, scriveva che «sfortunatamente il biografo e l'agiografo potranno scarsamente giovarsi di suoi scritti [di san Filippo], come invece è accaduto per altri grandi: s. Ignazio, s. Carlo Borromeo, s. Francesco di Sales ad esempio. Filippo non fu un santo scrittore, e lui stesso confessò la quasi invincibile ritrosia a prender la penna in mano (oltre che a parlare di se stesso: Secretum meum mihi...)».


Di san Filippo oggi abbiamo una trentina di lettere, alcuni scritti occasionali e
tre sonetti, di cui due sono di dubbia attribuzione ma, senza togliere alcun valore
spirituale e storico a questi importanti documenti, sono le sue massime e ricordi
ad essere diventate, per così dire, le portavoci di san Filippo e dell'essenza della
spiritualità oratoriana.
Raccolte da testimonianze dirette dei suoi primi discepoli durante conversazioni
e discorsi, le massime e i ricordi di san Filippo compensano l'esiguità dei suoi scritti e portano il lettore a comprendere meglio l'origine e i fondamenti dell'Oratorio.


Le più antiche serie apparvero al processo di canonizzazione durante la seduta
del 23 gennaio 1596 quando si recò a testimoniare padre Francesco Zazzara - che, assieme ai Padri Pompeo Pateri e Giuliano Giustiniani, ha curato una ricca raccolta di massime filippiane (Archivio dell'Oratorio di Roma, A.III.9) - e ancora nelle sedute del 18 aprile e del 13 maggio dello stesso anno, quando si recarono a deporre il cardinale Pietro Paolo Crescenzi e il prelato Marco Antonio Maffa.







L'amore di Dio




- Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia.
Chi dimanda altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda.
Chi opera e non per Cristo, non sa quello che si faccia.

- L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio.

- Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.

- All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che
staccarsi dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la
nostra soddisfazione e volere.

- Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra
cosa che Dio?

- La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del
desiderio che l'uomo ha di patire per amor suo.

- A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere
quanto non aver occasione di patire per Lui.

- Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave,
né più molesta quanto la vita.

- I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio.

- Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica:
Signore, lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare.








Presenza in Dio e confidenza in Lui




- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio
davanti agli occhi.

- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di
non salirvi dopo morte.

- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.

- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche
cosa da voi, vi farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.

- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre:
e non bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.








La volontà di Dio




- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.

- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia
ad intervenire bene.

- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato:
accompagnar Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.

- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito,
l'immaginarsi di essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi,
e come tale andare ora da questo Santo, ora da quell'altro a domandar
loro elemosina spirituale, con quell'affetto e verità onde
sogliono domandarla i poveri.
E ciò si faccia alle volte corporalmente, andando ora alla Chiesa
di questo Santo, ed ora alla Chiesa di quell'altro a domandar
questa santa elemosina.

- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione,
S. Filippo diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio.
Abbi pazienza, sta saldo; questo è il tuo Purgatorio.

- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno,
non sei degno che il Signore ti visiti.

- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva
una piccola figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.








Desiderio di Perfezione




- Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.

- Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio,
e non accontentarsi di una bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile)
di passare in santità ed in amore anche S. Pietro e S. Paolo:
la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire, si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non possiamo colle opere.

- Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo:
perché il desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le cose: e questo desiderio, se si potesse,
si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è degno d'infinito onore.

- La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte,
cioè nel mortificare la razionale, contrastando cioè a se stesso,
all'amore proprio, al proprio giudizio.

- La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed
altre cose simili, e le lacrime non sono segno che l'uomo sia
in grazia di Dio.

- Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva:
Ubbidienza, Umiltà, Distacco!








La Preghiera




- L'uomo che non fa orazione è un animale senza ragione.

- Il nemico della nostra salute di nessuna cosa più si contrista,
e nessuna cosa cerca più impedire che l'orazione.

- Non vi è cosa migliore per l'uomo che l'orazione, e senza di essa non
si può durar molto nella vita dello spirito.

- Per fare buona orazione deve l'anima prima profondissimamente umiliarsi e
conoscersi indegna di stare innanzi a tanta maestà,
qual è la maestà di Dio, e mostrare a Dio il suo bisogno e la sua impotenza,
ed umiliata gettarsi in Dio, che Dio le insegnerà a fare orazione.

- La vera preparazione all'orazione è l'esercitarsi nella mortificazione:
perché il volersi dare alla orazione senza questa è come se un
uccello avesse voluto incominciar a volare prima di metter le penne.

- Ai giovani diceva: Non vi caricate di troppe devozioni,
ma intraprendetene poche, e perseverate in esse.
Non tante devozioni, ma tanta devozione.







L'Umiltà




- Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.

- Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri,
acciò possiate diventar grandi negli occhi di Dio.

- Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso di sè.
Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato
della propria stima.

- Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare
gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.

- Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni
particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità.
A proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria.
La prima è Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della vanagloria.
La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine
di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha
quando nel far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime.

- Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose:
spernere mundum, spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni:
cioè disprezzare il mondo, non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso,
non far conto d'essere disprezzato.
E soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato:
a questo vorrei
arrivare.

- Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei,
prendete in bene le mie parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse
la morte, anzi una saetta, che il pensiero di simili dignità.
Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi,
ma non già le grandezze loro.







La Mortificazione




- Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio.

- Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale.

- Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia,
che molte astinenze, digiuni e discipline.

- Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità,
era solito provarla con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto, altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo:
Ove non è gran mortificazione, non può esservi gran santità.

- Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della
mortificazione interiore e delle altre virtù.







L'Obbedienza




- L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo
quello che è comandato è la miglior cosa che si possa fare.

- L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole,
e che paiono di niun momento, poiché in questo modo la persona
si rende facile ad essere obbediente nelle cose maggiori.

- E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano,
che starsene in camera a fare orazione.

- A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai,
comandi poco.







La Gioia Cristiana




- Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati,
ma che siate allegri.

- Non voglio scrupoli, non voglio malinconie.
Scrupoli e malinconie, lontani da casa mia.

- L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio,
derivato dalla buona coscienza, mercé il disprezzo delle cose terrene,
unito con la contemplazione delle celesti...
Si oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può
neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso,
e molto altresì la vanità e la detrazione.
La nostra allegrezza corre gran pericolo e spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto degli spettacoli.

- Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva:
Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono.
Voi seguitate il fatto vostro, e state allegramente,
perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati.
E quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva:
State fermi, e, sotto voce, se potete.







La Devozione a Maria




- Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria.

- Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so:
non vi è mezzo più potente ad ottenere le grazie da Dio
che la Madonna Santissima.

- Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

- La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio,
e che nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù,
il quale ha forza d'intenerire il cuore.







La Confessione




- La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene
all'anima nostra, perché la purifica, la risana e la ferma
nel servizio di Dio.

- Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi
e de' quali ha maggior vergogna: perché così si viene a confondere
più il demonio e cavar maggior frutto dalla confessione.







La Tentazione




- Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso,
non si vincono meglio che con l'umiltà del cuore,
e col manifestare semplicemente e chiaramente senza coperta
i peccati e le tentazioni al confessore.

- Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo,
oppure che si recitasse il Credo.

- La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di
qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà
in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere.

- Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire
delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti
spesso, e particolarmente la Confessione.







Giaculatorie




Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie,
ed in diversi tempi dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire
ogni giorno quando una, quando un'altra.

- Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare
la confidenza in Dio sono utilissime alcune orazioni brevi
e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il giorno,
alzando la mente a Dio da questo fango del mondo:
e chi le usa, ne ricaverà frutto incredibile con poca fatica.






Memoria liturgica:




26 maggio








Bibliografia:


1. Tra le più antiche biografie di S. Filippo Neri ricordiamo:


GALLONIO A., Vita del Beato P. Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, scritta e ordinata per anni, Roma, 1601; edizione critica a cura di M. T. BONADONNA RUSSO, Roma, 1995

BACCI P.G., Vita di San Filippo Neri, fiorentino…, Roma, 1622

MARCIANO G., Memorie Historiche della Congregatione dell’Oratorio, vol. I, Napoli, 1693, (l’opera, costituita da 5 voll., Napoli, 1693-1702, nel vol. I, cap. 2 presenta una vita di S. Filippo)

SONZONIO D., Vita del santo Patriarca e taumaturgo Filippo Neri…, Venezia, 1727



2. Tra le moderne:


CAPECELATRO A., Vita di san Filippo Neri, Roma-Tournay, I, II, 1879; 4° ed. 1901

PONNELLE L., BORDET L., Filippo Neri e la società romana del suo tempo, traduzione italiana a cura di T. Casini, Firenze, 1931; edizione anastatica con appendice, 1987; l’edizione originale in francese, Paris, 1928



3. Fonti ed opere di altissima utilità sono:


INCISA DELLA ROCCHETTA G., VIAN N. (a cura), Il primo processo canonico per San Filippo Neri nel Codice Vaticano Latino 3798 e in altri esemplari dell’Oratorio di Roma, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, I (1957); II (1958); III (1960); IV (1963)

CISTELLINI A., San Filippo Neri, l’Oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità, 3 voll., Morcelliana, Brescia, 1989

SAN FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, a cura di A. Cistellini, Morcelliana, Brescia, 1994



4. Tra le opere divulgative sulla vita, l’opera e la spiritualità di S. Filippo segnaliamo:


ANGILELLA G., Intuizione ed esperienza educativa nell’apostolato di S. Filippo Neri, Pisa, 1957

BELLA L.G., Filippo Neri, Padre secondo lo Spirito, Jaca Book, Milano, 2006

BELLIDO J.F., La conquista de la libertad. Vida de San Felipe Neri, Desclée de Brouwer, Bilbao, 1998

BOSCHIS F.A., Discorsi sacri spieganti vari ricordi, e detti di S. Filippo Neri…, Torino, 1744

BOUYER L., La musica di Dio, San Filippo Neri, Jaca Book, Milano, 1980

CERRATO E.A., S. Filippo Neri. La sua opera e la sua eredità, Pavia, 2002

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- Non potete alterare o trasformare quest'opera, nè usarla per crearne un'altra.

Si ringrazia,
Davide Zeggio e l'Oratorio San Filippo







APPROFONDIMENTI:

Ignazio Di LOYOLA e Filippo NERI













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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