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La DOTTRINA SOCIALE







La DOTTRINA SOCIALE
indica il complesso di principi, insegnamenti e direttive della Chiesa cattolica intesi a risolvere, secondo lo spirito del Vangelo, la questione sociale.




Il grande nucleo della dottrina sociale è composto da famose encicliche e dai discorsi sociali dei Pontefici, fra cui la Rerum Novarum (1891) di Papa Leone XIII, Quadragesimo Anno (1931) di Papa Pio XI, Mater et Magistra (1961) di Papa Giovanni XXIII.




Questi documenti pontifici sono il frutto non solo del Magistero della Chiesa, ma anche del dibattito e degli studi di sacerdoti e laici cattolici.




Il Magistero sociale della Chiesa non è cosa recente, ma è stata una preoccupazione costante fin dall'epoca dei Padri della Chiesa e poi del Medioevo (si pensi alla proibizione dell'usura ed alla creazione dei Monti frumentari e di pietà).







I punti principali della dottrina sociale cristiana riguardano:



l'UOMO, perché egli è creatura di Dio, dotata di dignità spirituale e soprannaturale, centro dell'ordine economico, sociale, politico, insieme alla sua famiglia. Perciò l'uomo ha diritto alla vita religiosa, al lavoro, alla famiglia, all'uso dei beni materiali, alla proprietà, al giusto salario, alla libertà, alla partecipazione alla vita dello Stato, all'istruzione, alla collaborazione nella produzione della ricchezza.



il LAVORO, che va visto, come richiama Giovanni Paolo II, "nel quadro più ampio di un disegno divino" utile ai "singoli alla realizzazione dello scopo fondamentale della loro vita", mentre "l’impegno dell’occupazione di tutte le forze disponibili è un dovere centrale dell'azione degli uomini di governo, politici, dirigenti sindacali ed imprenditori" e le "le autorità responsabili" sono preposte "perché mettano mano ai provvedimenti necessari a garantire ai lavoratori la giusta retribuzione e la stabilità"



lo STATO, perché esso deve essere una società organizzata, dove è garantita la convivenza civile, le giuste libertà individuali e sociali e la giustizia, nel perseguimento del bene comune, dell'intera comunità e non di un gruppo a detrimento delle legittime esigenze degli altri, e rispettando la libertà religiosa di tutti i culti ed i diritti della Chiesa Cattolica


Di queste esigenze sociali cristiane si sono fatti portatori in tutto il mondo numerosi cattolici, fra i quali San Giovanni Bosco, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, Federico Ozanam, Léon Harmel ed altri.




Nella prima grande enciclica sociale, la Rerum Novarum, trattando del salario si afferma che il principio ispiratore di tutta la questione sociale è l'inalienabile dignità della persona umana. L'uomo deve essere riconosciuto tale anche quando è retribuito. Deve avere, quindi, una quantità di salario che gli permetta il giusto sostentamento per sé e per la sua famiglia.

Dopo quarant'anni nell'enciclica Quadragesimo Anno, Papa Pio XI precisò: «la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l'economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele».
Di qui la necessità che lo Stato intervenga in misura maggiore che non ai tempi di Papa Leone XIII, pur nel rispetto del principio della necessità dell'iniziativa privata.

Papa Pio XII aggiunse a questi concetti alcuni elementi nuovi.
Nello sconvolgimento del secondo conflitto mondiale la difesa della persona umana aveva mostrato parecchi lati deboli, dimostrandosi profondamente incerta.
Allora il Papa, parlando del salario, riflette su questo senso di insicurezza nella quale si trova la persona e chiede che nel salario sia compresa anche la sicurezza. Il salario, cioè, deve permettere l'acquisto di determinati beni che concretizzano la sicurezza: deve, cioè, essere un salario di proprietà.
Secondo Pio XII la proprietà privata in rapporto alla famiglia ne è come lo spazio vitale e garanzia di libertà.

L'enciclica Mater et Magistra di Papa Giovanni XXIII ha esteso l'insegnamento della Chiesa ai problemi nuovi del mondo moderno.







Concezione cattolica dello Stato


Per la Dottrina sociale della Chiesa cattolica, i cittadini hanno la responsabilità ed il compito di determinare, a seconda delle mutevoli esigenze, l'organizzazione politica, tecnica ed istituzionale dello Stato, questo deve rispondere, sempre e comunque, ad alcuni requisiti:


1. Favorire la convivenza civile


2. Garantire la giustizia


3. Perseguire il bene comune, dell'intera comunità e non di un gruppo a
detrimento delle legittime esigenze degli altri


4. Garantire ed assicurare le giuste libertà individuali, sociali e i diritti naturali


5. Tutelare la dignità della persona umana


6. Considerare la famiglia come cellula primordiale della società


7. Rispettare la libertà religiosa ed i diritti della Chiesa.


Attualmente lo stato che sembra essere più simile al concetto ideale di stato della dottrina sociale cristiana è lo stato democratico, repubblicano (come gran parte dei paesi latini) o monarchico costituzionale (come gran parte dei paesi europei).







Le Encicliche sociali:


15 maggio 1891: Leone XIII, Rerum Novarum
(respinge il socialismo per la lotta di classe certamente non cristiana; sostiene giuste rivendicazioni proletarie; proprietà privata per la libertà della persona e della famiglia, con piccola dimensione sociale; sussidarietà dell'intervento statale; diritto all'associazione sindacale; salario che assicuri giusto sostentamento)
RERUM NOVARUM (LEONE XIII, 1891)




15 maggio 1931: Pio XI, Quadragesimo Anno
(respinge il comunismo come prassi e dottrina contraria alla visione cristiana; non condanna il socialismo democratico come economia di programmazione sfumata; proprietà privata con maggiore dimensione sociale e sussidarietà statale; è molto apprezzato ed al tempo stesso criticato il corporativismo fascista; si propugna un salario familiare)
QUADRAGESIMO ANNO (PIO XI, 1931)




19 marzo 1937: Pio XI, Divini Redemptoris
(errori del comunismo ateo: nega Dio, l'anima immortale, la vita futura; inoltre: odio, lotta di classe, diritto di proprietà e famiglia a discrezione dello Stato)
DIVINI REDEMPTORIS (PIO XI, 1937)




1 giugno 1941: Pio XII, Discorso di Pentecoste (tutti gli uomini devono poter usare i beni della terra)



15 maggio 1961: Giovanni XXIII, Mater et Magistra
(si sviluppa l'assicurazione sociale; la proprietà privata è in funzione sociale; la socializzazione deve rispettare le responsabilità dei singoli e dei corpi intermedi per il vero bene comune)
MATER ET MAGISTRA (Giovanni XXIII, 1961)




11 aprile 1963: Giovanni XXIII, Pacem in Terris
(diritti dell'uomo e della donna; proprietà privata con intrinseca funzione sociale; sussidarietà dei pubblici poteri; collaborazione politica)
PACEM IN TERRIS (Giovanni XXIII, 1963)




7 dicembre 1965: Paolo VI, Concilio Vaticano II (costituzione pastorale Gaudium et Spes)



26 marzo 1967: Paolo VI, Populorum Progressio
(crescono squilibri e messianismi; proprietà privata non diritto assoluto; sussidarietà della pianificazione; tentazione materialista-atea)
POPULORUM PROGRESSIO (Paolo VI, 1967)




14 maggio 1971: Paolo VI, Octogesima Adveniens, lettera apostolica (distingue diversi socialismi; aspirazione a società economicamente più giusta; azione politica rivoluzionaria discutibile; ideologia materialistica inammissibile)



27 gennaio - 13 febbraio 1979: Giovanni Paolo II, Conferenza di Puebla (la Chiesa evangelizza; la Chiesa al servizio dell'uomo, di ogni uomo)



1 - 12 luglio 1980: Giovanni Paolo II, Viaggio in Brasile (collaborazione fraterna; spirito delle beatitudini evangeliche; per togliere le ingiustizie si necessita l'impegno dei cristiani)



19 marzo 1981: Giovanni Paolo II, Discorso a Terni (lotta per la giustizia, non lotta contro l'uomo)



14 settembre 1981: Giovanni Paolo II, Laborem Exercens
(sul significato del lavoro umano)
LABOREM EXERCENS (Giovanni Paolo II, 1981)




1987: Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis,
nel ventesimo anniversario della Populorum Progressio (ritardi nello sviluppo dei popoli... carattere morale dei problemi sociali)
SOLLICITUDO REI SOCIALIS (Giovanni Paolo II, 1987)




1991: Giovanni Paolo II, Centesimus Annus,
nel centenario della Rerum Novarum (analisi della caduta del comunismo, giudizio sull'economia di mercato)
CENTESIMUS ANNUS (Giovanni Paolo II, 1991)




1995: Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae,
(la civiltà della vita, pericoli per la democrazia con la cultura della morte)
EVANGELIUM VITAE (Giovanni Paolo II, 1995)




2005: Compendio sociale della Dottrina Sociale della Chiesa



2009: Benedetto XVI, Caritas in Veritate,
l'amore — « caritas » — è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace.
È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta.
CARITAS IN VERITATE (Benedetto XVI, 2009)












DAL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE

CAPITOLO SECONDO

MISSIONE DELLA CHIESA E DOTTRINA SOCIALE



I. EVANGELIZZAZIONE E DOTTRINA SOCIALE



a) La Chiesa, dimora di Dio con gli uomini

60 La Chiesa, partecipe delle gioie e delle speranze, delle angosce e delle tristezze degli uomini, è solidale con ogni uomo ed ogni donna, d'ogni luogo e d'ogni tempo, e porta loro la lieta notizia del Regno di Dio, che con Gesù Cristo è venuto e viene in mezzo a loro.73 Essa è, nell'umanità e nel mondo, il sacramento dell'amore di Dio e perciò della speranza più grande, che attiva e sostiene ogni autentico progetto e impegno di liberazione e promozione umana. La Chiesa è tra gli uomini la tenda della compagnia di Dio — « la dimora di Dio con gli uomini » (Ap 21,3) — cosicché l'uomo non è solo, smarrito o sgomento nel suo impegno di umanizzare il mondo, ma trova sostegno nell'amore redentore di Cristo. Essa è ministra di salvezza non astrattamente o in senso meramente spirituale, ma nel contesto della storia e del mondo in cui l'uomo vive,74 dove è raggiunto dall'amore di Dio e dalla vocazione a corrispondere al progetto divino.

61 Unico ed irripetibile nella sua individualità, ogni uomo è un essere aperto alla relazione con gli altri nella società. Il convivere nella rete di rapporti che lega fra loro individui, famiglie, gruppi intermedi, in relazioni di incontro, di comunicazione e di scambio, assicura al vivere una qualità migliore. Il bene comune che gli uomini ricercano e conseguono formando la comunità sociale è garanzia del bene personale, familiare e associativo.75 Per queste ragioni si origina e prende forma la società, con i suoi assetti strutturali, vale a dire politici, economici, giuridici, culturali. All'uomo, « in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne »,76 la Chiesa si rivolge con la sua dottrina sociale. « Esperta in umanità »,77 essa è in grado di comprenderlo nella sua vocazione e nelle sue aspirazioni, nei suoi limiti e nei suoi disagi, nei suoi diritti e nei suoi compiti, e di avere per lui una parola di vita da far risuonare nelle vicende storiche e sociali dell'esistenza umana.



b) Fecondare e fermentare la società con il Vangelo

62 Con il suo insegnamento sociale, la Chiesa intende annunciare ed attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali. Non si tratta semplicemente di raggiungere l'uomo nella società, l'uomo quale destinatario dell'annuncio evangelico, ma di fecondare e fermentare la società stessa con il Vangelo.78 Prendersi cura dell'uomo, pertanto, significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica. La convivenza sociale spesso determina la qualità della vita e perciò le condizioni in cui ogni uomo e ogni donna comprendono se stessi e decidono di sé e della loro vocazione. Per questa ragione, la Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si vive, alla qualità morale, cioè autenticamente umana e umanizzante, della vita sociale. La società e con essa la politica, l'economia, il lavoro, il diritto, la cultura non costituiscono un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed estraneo al messaggio e all'economia della salvezza. La società, infatti, con tutto ciò che in essa si compie, riguarda l'uomo. Essa è la società degli uomini, che sono « la prima fondamentale via della Chiesa ».79

63 Con la sua dottrina sociale la Chiesa si fa carico del compito di annuncio che il Signore le ha affidato. Essa attualizza nelle vicende storiche il messaggio di liberazione e di redenzione di Cristo, il Vangelo del Regno. La Chiesa, annunziando il Vangelo, « attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina ».80

Vangelo che riecheggia mediante la Chiesa nell'oggi dell'uomo,81 la dottrina sociale è parola che libera. Questo significa che ha l'efficacia di verità e di grazia dello Spirito di Dio, che penetra i cuori, disponendoli a coltivare pensieri e progetti di amore, di giustizia, di libertà e di pace. Evangelizzare il sociale è allora infondere nel cuore degli uomini la carica di senso e di liberazione del Vangelo, così da promuovere una società a misura dell'uomo perché a misura di Cristo: è costruire una città dell'uomo più umana, perché più conforme al Regno di Dio.

64 La Chiesa, con la sua dottrina sociale, non solo non si discosta dalla propria missione, ma è strettamente fedele ad essa. La redenzione compiuta da Cristo e affidata alla missione salvifica della Chiesa è certamente di ordine soprannaturale. Questa dimensione non è espressione limitativa, bensì integrale della salvezza.82 Il soprannaturale non è da concepire come un'entità o uno spazio che comincia dove finisce il naturale, ma come l'elevazione di questo, così che niente dell'ordine della creazione e dell'umano è estraneo ed escluso dall'ordine soprannaturale e teologale della fede e della grazia, ma piuttosto vi è riconosciuto, assunto ed elevato: « In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo (cfr. Gen 1,26-30) — quel mondo che, essendovi entrato il peccato, “è stato sottomesso alla caducità” (Rm 8,20; cfr. ibid., 8,19-22) — riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato (cfr. Rm 5,12-21) ».83

65 La Redenzione comincia con l'Incarnazione, mediante cui il Figlio di Dio assume, eccetto il peccato, tutto dell'uomo, secondo le solidarietà istituite dalla Sapienza creatrice divina, e tutto coinvolge nel Suo dono d'Amore redentore. Da questo Amore l'uomo è raggiunto nell'interezza del suo essere: essere corporeo e spirituale, in relazione solidale con gli altri. Tutto l'uomo — non un'anima separata o un essere chiuso nella sua individualità, ma la persona e la società delle persone — è implicato nell'economia salvifica del Vangelo. Portatrice del messaggio d'Incarnazione e di Redenzione del Vangelo, la Chiesa non può percorrere altra via: con la sua dottrina sociale e con l'azione efficace che essa attiva, non solo non stempera il suo volto e la sua missione, ma è fedele a Cristo e si rivela agli uomini come « sacramento universale di salvezza ».84 Ciò è particolarmente vero in un'epoca come la nostra, caratterizzata da una crescente interdipendenza e da una mondializzazione delle questioni sociali.



c) Dottrina sociale, evangelizzazione e promozione umana

66 La dottrina sociale è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini — situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace — non è estraneo all'evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo.85 Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi: « Legami di ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere, e della giustizia da restaurare. Legami dell'ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l'autentica crescita dell'uomo? ».86

67 La dottrina sociale « ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione » 87 e si sviluppa nell'incontro sempre rinnovato tra il messaggio evangelico e la storia umana. Così compresa, tale dottrina è via peculiare per l'esercizio del ministero della Parola e della funzione profetica della Chiesa: 88 « per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore ».89 Non siamo in presenza di un interesse o di un'azione marginale, che si aggiunge alla missione della Chiesa, ma al cuore stesso della sua ministerialità: con la dottrina sociale la Chiesa « annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso ».90 È, questo, un ministero che procede non solo dall'annuncio, ma anche dalla testimonianza.

68 La Chiesa non si fa carico della vita in società sotto ogni aspetto, ma con la competenza sua propria, che è quella dell'annuncio di Cristo Redentore: 91 « La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa derivano un compito, una luce e delle forze che possono servire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina ».92 Questo vuol dire che la Chiesa, con la sua dottrina sociale, non entra in questioni tecniche e non istituisce né propone sistemi o modelli di organizzazione sociale: 93 ciò non attiene alla missione che Cristo le ha affidato. La Chiesa ha la competenza attinta al Vangelo: al messaggio di liberazione dell'uomo annunciato e testimoniato dal Figlio di Dio fatto uomo.



d) Diritto e dovere della Chiesa

69 Con la sua dottrina sociale la Chiesa « si propone di assistere l'uomo sul cammino della salvezza »: 94 si tratta del suo fine precipuo ed unico. Non ci sono altri scopi tesi a surrogare o ad invadere compiti altrui, trascurando i propri, o a perseguire obiettivi estranei alla sua missione. Tale missione configura il diritto e insieme il dovere della Chiesa di elaborare una propria dottrina sociale e di incidere con essa sulla società e sulle sue strutture, mediante le responsabilità e i compiti che questa dottrina suscita.

70 La Chiesa ha il diritto di essere per l'uomo maestra di verità della fede: della verità non solo del dogma, ma anche della morale che scaturisce dalla stessa natura umana e dal Vangelo.95 La parola del Vangelo, infatti, non va solo ascoltata, ma anche messa in pratica (cfr. Mt 7,24; Lc 6,46-47; Gv 14,21.23-24; Gc 1,22): la coerenza nei comportamenti manifesta l'adesione del credente e non è circoscritta all'ambito strettamente ecclesiale e spirituale, ma coinvolge l'uomo in tutto il suo vissuto e secondo tutte le sue responsabilità. Per quanto secolari, queste hanno come soggetto l'uomo, vale a dire colui che Dio chiama, mediante la Chiesa, a partecipare al Suo dono salvifico.

Al dono della salvezza l'uomo deve corrispondere non con un'adesione parziale, astratta o verbale, ma con tutta la propria vita, secondo tutte le relazioni che la connotano, così da non abbandonare nulla ad un ambito profano e mondano, irrilevante o estraneo alla salvezza. Per questo la dottrina sociale non è per la Chiesa un privilegio, una digressione, una convenienza o un'ingerenza: è un suo diritto evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola liberante del Vangelo nel complesso mondo della produzione, del lavoro, dell'imprenditoria, della finanza, del commercio, della politica, della giurisprudenza, della cultura, delle comunicazioni sociali, in cui vive l'uomo.

71 Questo diritto è nel contempo un dovere, perché la Chiesa non vi può rinunciare senza smentire se stessa e la sua fedeltà a Cristo: « Guai a me se non predicassi il vangelo! » (1 Cor 9,16). L'ammonimento che san Paolo rivolge a se stesso risuona nella coscienza della Chiesa come un richiamo a percorrere tutte le vie dell'evangelizzazione; non solo quelle che portano alle coscienze individuali, ma anche quelle che conducono alle istituzioni pubbliche: da un lato non si deve « costringere erroneamente il fatto religioso alla sfera puramente privata »,96 da un altro lato non si può orientare il messaggio cristiano verso una salvezza puramente ultraterrena, incapace di illuminare la presenza sulla terra.97

Per la rilevanza pubblica del Vangelo e della fede e per gli effetti perversi dell'ingiustizia, cioè del peccato, la Chiesa non può restare indifferente alle vicende sociali: 98 « è compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime ».99




II. LA NATURA DELLA DOTTRINA SOCIALE



a) Un conoscere illuminato dalla fede

72 La dottrina sociale non è stata pensata da principio come un sistema organico, ma si è formata nel corso del tempo, attraverso i numerosi interventi del Magistero sui temi sociali. Tale genesi rende comprensibile il fatto che siano potute intervenire alcune oscillazioni circa la natura, il metodo e la struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa. Preceduto da un significativo accenno nella « Laborem exercens »,100 un chiarimento decisivo in tal senso è contenuto nell'enciclica « Sollicitudo rei socialis »: la dottrina sociale della Chiesa « appartiene... non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale ».101 Essa non è definibile secondo parametri socio-economici. Non è un sistema ideologico o prammatico, teso a definire e comporre i rapporti economici, politici e sociali, ma una categoria a sé: essa è « l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano ».102

73 La dottrina sociale, pertanto, è di natura teologica, e specificamente teologico-morale, « trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone »: 103 « Essa si situa all'incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali, politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia ».104 La dottrina sociale riflette, di fatto, i tre livelli dell'insegnamento teologico-morale: quello fondativo delle motivazioni; quello direttivo delle norme del vivere sociale; quello deliberativo delle coscienze, chiamate a mediare le norme oggettive e generali nelle concrete e particolari situazioni sociali. Questi tre livelli definiscono implicitamente anche il metodo proprio e la specifica struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa.

74 La dottrina sociale trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa. A questa sorgente, che viene dall'alto, essa attinge l'ispirazione e la luce per comprendere, giudicare e orientare l'esperienza umana e la storia. Prima e al di sopra di tutto sta il progetto di Dio sul creato e, in particolare, sulla vita e sul destino dell'uomo chiamato alla comunione trinitaria.

La fede, che accoglie la parola divina e la mette in pratica, interagisce efficacemente con la ragione. L'intelligenza della fede, in particolare della fede orientata alla prassi, è strutturata dalla ragione e si avvale di tutti i contributi che questa le offre. Anche la dottrina sociale, in quanto sapere applicato alla contingenza e alla storicità della prassi, coniuga insieme « fides et ratio » 105 ed è espressione eloquente del loro fecondo rapporto.

75 La fede e la ragione costituiscono le due vie conoscitive della dottrina sociale, essendo due le fonti alle quali essa attinge: la Rivelazione e la natura umana. Il conoscere della fede comprende e dirige il vissuto dell'uomo nella luce del mistero storico-salvifico, del rivelarsi e donarsi di Dio in Cristo per noi uomini. Questa intelligenza della fede include la ragione, mediante la quale essa, per quanto possibile, spiega e comprende la verità rivelata e la integra con la verità della natura umana, attinta al progetto divino espresso dalla creazione,106 ossia la verità integrale della persona in quanto essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, con gli altri esseri umani e con le altre creature.107

La centratura sul mistero di Cristo, pertanto, non indebolisce o esclude il ruolo della ragione e perciò non priva la dottrina sociale di plausibilità razionale e, quindi, della sua destinazione universale. Poiché il mistero di Cristo illumina il mistero dell'uomo, la ragione dà pienezza di senso alla comprensione della dignità umana e delle esigenze morali che la tutelano. La dottrina sociale è un conoscere illuminato dalla fede, che — proprio perché tale — esprime una maggiore capacità di conoscenza. Essa dà ragione a tutti delle verità che afferma e dei doveri che comporta: può trovare accoglienza e condivisione da parte di tutti.



b) In dialogo cordiale con ogni sapere

76 La dottrina sociale della Chiesa si giova di tutti i contributi conoscitivi, da qualunque sapere provengano, e possiede un'importante dimensione interdisciplinare: « Per incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in dialogo con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli apporti ».108 La dottrina sociale si avvale dei contributi di significato della filosofia e altrettanto dei contributi descrittivi delle scienze umane.

77 Essenziale è, anzitutto, l'apporto della filosofia, già emerso dal richiamo alla natura umana quale fonte e alla ragione quale via conoscitiva della stessa fede. Mediante la ragione, la dottrina sociale assume la filosofia nella sua stessa logica interna, ossia nell'argomentare che le è proprio.

Affermare che la dottrina sociale è da ascrivere alla teologia piuttosto che alla filosofia non significa disconoscere o sottovalutare il ruolo e l'apporto filosofico. La filosofia, infatti, è strumento idoneo e indispensabile ad una corretta comprensione di concetti basilari della dottrina sociale — quali la persona, la società, la libertà, la coscienza, l'etica, il diritto, la giustizia, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, lo Stato —, comprensione tale da ispirare un'armonica convivenza sociale. È ancora la filosofia a far risaltare la plausibilità razionale della luce che il Vangelo proietta sulla società e a sollecitare l'apertura e l'assenso alla verità di ogni intelligenza e coscienza.

78 Un significativo contributo alla dottrina sociale della Chiesa proviene anche dalle scienze umane e sociali:109 nessun sapere è escluso, per la parte di verità di cui è portatore. La Chiesa riconosce e accoglie tutto ciò che contribuisce alla comprensione dell'uomo nella sempre più estesa, mutevole e complessa rete delle relazioni sociali. Essa è consapevole del fatto che ad una profonda conoscenza dell'uomo non si perviene con la sola teologia, senza i contributi di molti saperi, ai quali la teologia stessa fa riferimento.

L'apertura attenta e costante alle scienze fa acquisire alla dottrina sociale competenze, concretezza e attualità. Grazie ad esse, la Chiesa può comprendere in modo più preciso l'uomo nella società, parlare agli uomini del proprio tempo in modo più convincente e adempiere più efficacemente il suo compito di incarnare, nella coscienza e nella sensibilità sociale del nostro tempo, la Parola di Dio e la fede, dalla quale la dottrina sociale « prende avvio ».110

Tale dialogo interdisciplinare sollecita anche le scienze a cogliere le prospettive di significato, di valore e di impegno che la dottrina sociale dischiude e ad « aprirsi verso un orizzonte più ampio al servizio della singola persona, conosciuta e amata nella pienezza della sua vocazione ».111



c) Espressione del ministero d'insegnamento della Chiesa

79 La dottrina sociale è della Chiesa perché la Chiesa è il soggetto che la elabora, la diffonde e la insegna. Essa non è prerogativa di una componente del corpo ecclesiale, ma della comunità intera: è espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti. Tutta la comunità ecclesiale — sacerdoti, religiosi e laici — concorre a costituire la dottrina sociale, secondo la diversità di compiti, carismi e ministeri al suo interno.

I contributi molteplici e multiformi — espressioni anch'essi del « soprannaturale senso della fede di tutto il Popolo »112 — sono assunti, interpretati e unificati dal Magistero, che promulga l'insegnamento sociale come dottrina della Chiesa. Il Magistero compete, nella Chiesa, a coloro che sono investiti del « munus docendi », ossia del ministero di insegnare nel campo della fede e della morale con l'autorità ricevuta da Cristo. La dottrina sociale non è solo il frutto del pensiero e dell'opera di persone qualificate, ma è il pensiero della Chiesa, in quanto è opera del Magistero, il quale insegna con l'autorità che Cristo ha conferito agli Apostoli e ai loro successori: il Papa e i Vescovi in comunione con lui.113

80 Nella dottrina sociale della Chiesa è in atto il Magistero in tutte le sue componenti ed espressioni. Primario è il Magistero universale del Papa e del Concilio: è questo Magistero a determinare l'indirizzo e a segnare lo sviluppo della dottrina sociale. Esso, a sua volta, è integrato da quello episcopale, che ne specifica, traduce e attualizza l'insegnamento nella concretezza e peculiarità delle molteplici e diverse situazioni locali.114 L'insegnamento sociale dei Vescovi offre validi contributi e stimoli al magistero del Romano Pontefice. Si attua in questo modo una circolarità, che esprime di fatto la collegialità dei Pastori uniti al Papa nell'insegnamento sociale della Chiesa. Il complesso dottrinale che ne risulta comprende ed integra l'insegnamento universale dei Papi e quello particolare dei Vescovi.

In quanto parte dell'insegnamento morale della Chiesa, la dottrina sociale riveste la medesima dignità ed ha la stessa autorevolezza di tale insegnamento. Essa è Magistero autentico, che esige l'accettazione e l'adesione dei fedeli.115 Il peso dottrinale dei diversi insegnamenti e l'assenso che richiedono vanno valutati in funzione della loro natura, del loro grado di indipendenza da elementi contingenti e variabili e della frequenza con cui sono richiamati.116



d) Per una società riconciliata nella giustizia e nell'amore

81 L'oggetto della dottrina sociale è essenzialmente lo stesso che ne costituisce la ragion d'essere: l'uomo chiamato alla salvezza e come tale affidato da Cristo alla cura e alla responsabilità della Chiesa.117 Con la sua dottrina sociale, la Chiesa si preoccupa della vita umana nella società, nella consapevolezza che dalla qualità del vissuto sociale, ossia delle relazioni di giustizia e di amore che lo intessono, dipende in modo decisivo la tutela e la promozione delle persone, per le quali ogni comunità è costituita. Nella società, infatti, sono in gioco la dignità e i diritti della persona e la pace nelle relazioni tra persone e tra comunità di persone. Beni, questi, che la comunità sociale deve perseguire e garantire.

In tale prospettiva, la dottrina sociale assolve un compito di annuncio e anche di denuncia.

Anzitutto l'annuncio di ciò che la Chiesa possiede di proprio: « una visione globale dell'uomo e dell'umanità »,118 ad un livello non solo teorico, ma pratico. La dottrina sociale, infatti, non offre soltanto significati, valori e criteri di giudizio, ma anche le norme e le direttive d'azione che ne derivano.119 Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze.

La dottrina sociale comporta pure un compito di denuncia, in presenza del peccato: è il peccato d'ingiustizia e di violenza che in vario modo attraversa la società e in essa prende corpo.120 Tale denuncia si fa giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, specialmente dei diritti dei poveri, dei piccoli, dei deboli,121 e tanto più si intensifica quanto più le ingiustizie e le violenze si estendono, coinvolgendo intere categorie di persone e ampie aree geografiche del mondo, e danno luogo a questioni sociali ossia a soprusi e squilibri che sconvolgono le società. Gran parte dell'insegnamento sociale della Chiesa è sollecitato e determinato dalle grandi questioni sociali, di cui vuole essere risposta di giustizia sociale.

82 L'intento della dottrina sociale è di ordine religioso e morale.122 Religioso perché la missione evangelizzatrice e salvifica della Chiesa abbraccia l'uomo « nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale ».123 Morale perché la Chiesa mira ad un « umanesimo plenario »,124 vale a dire alla « liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo » 125 e allo « sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini ».126 La dottrina sociale traccia le vie da percorrere verso una società riconciliata ed armonizzata nella giustizia e nell'amore, anticipatrice nella storia, in modo incoativo e prefigurativo, di « nuovi cieli e... terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia » (2 Pt 3,13).



e) Un messaggio per i figli della Chiesa e per l'umanità

83 Prima destinataria della dottrina sociale è la comunità ecclesiale in tutti i suoi membri, perché tutti hanno responsabilità sociali da assumere. La coscienza è interpellata dall'insegnamento sociale per riconoscere e adempiere i doveri di giustizia e di carità nella vita sociale. Tale insegnamento è luce di verità morale, che suscita appropriate risposte secondo la vocazione e il ministero di ciascun cristiano. Nei compiti di evangelizzazione, vale a dire di insegnamento, di catechesi e di formazione, che la dottrina sociale della Chiesa suscita, essa è destinata ad ogni cristiano, secondo le competenze, i carismi, gli uffici e la missione di annuncio propri di ciascuno.127

La dottrina sociale implica altresì responsabilità relative alla costruzione, all'organizzazione e al funzionamento della società: obblighi politici, economici, amministrativi, vale a dire di natura secolare, che appartengono ai fedeli laici, non ai sacerdoti e ai religiosi.128 Tali responsabilità competono ai laici in modo peculiare, in ragione della condizione secolare del loro stato di vita e dell'indole secolare della loro vocazione: 129 mediante tali responsabilità, i laici mettono in opera l'insegnamento sociale e adempiono la missione secolare della Chiesa.130

84 Oltre la destinazione, primaria e specifica, ai figli della Chiesa, la dottrina sociale ha una destinazione universale. La luce del Vangelo, che la dottrina sociale riverbera sulla società, illumina tutti gli uomini, ed ogni coscienza e intelligenza sono in grado di cogliere la profondità umana dei significati e dei valori da essa espressi e la carica di umanità e di umanizzazione delle sue norme d'azione. Sicché tutti, in nome dell'uomo, della sua dignità una e unica e della sua tutela e promozione nella società, tutti, in nome dell'unico Dio, Creatore e fine ultimo dell'uomo, sono destinatari della dottrina sociale della Chiesa.131 La dottrina sociale è un insegnamento espressamente rivolto a tutti gli uomini di buona volontà 132 e, infatti, è ascoltato dai membri delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, dai seguaci di altre tradizioni religiose e da persone che non fanno parte di alcun gruppo religioso.



f) Nel segno della continuità e del rinnovamento

85 Orientata dalla luce perenne del Vangelo e costantemente attenta all'evoluzione della società, la dottrina sociale è caratterizzata da continuità e da rinnovamento.133

Essa manifesta anzitutto la continuità di un insegnamento che si richiama ai valori universali che derivano dalla Rivelazione e dalla natura umana. Per tale motivo la dottrina sociale non dipende dalle diverse culture, dalle differenti ideologie, dalle varie opinioni: essa è un insegnamento costante, che « si mantiene identico nella sua ispirazione di fondo, nei suoi “principi di riflessione”, nei suoi “criteri di giudizio”, nelle sue basilari “direttrici di azione” e, soprattutto, nel suo vitale collegamento col Vangelo del Signore ».134 In questo suo nucleo portante e permanente la dottrina sociale della Chiesa attraversa la storia senza subirne i condizionamenti e non corre il rischio del dissolvimento.

D'altra parte, nel suo costante volgersi alla storia lasciandosi interpellare dagli eventi che in essa si producono, la dottrina sociale della Chiesa manifesta una capacità di continuo rinnovamento. La fermezza nei principi non ne fa un sistema d'insegnamenti rigido, ma un Magistero in grado di aprirsi alle cose nuove, senza snaturarsi in esse: 135 un insegnamento « soggetto ai necessari e opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle situazioni storiche e dall'incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove la vita degli uomini e delle società ».136

86 La dottrina sociale si presenta come un « cantiere » sempre aperto, in cui la verità perenne penetra e permea la novità contingente, tracciando vie di giustizia e di pace. La fede non presume d'imprigionare in uno schema chiuso la mutevole realtà socio-politica.137 È vero piuttosto il contrario: la fede è fermento di novità e creatività. L'insegnamento che da essa prende continuamente avvio « si sviluppa attraverso una riflessione a contatto delle situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento ».138

Madre e Maestra, la Chiesa non si chiude e non si ritrae in se stessa, ma è sempre esposta, protesa e rivolta verso l'uomo, il cui destino di salvezza è la propria ragion d'essere. Essa è tra gli uomini l'icona vivente del Buon Pastore, che va a cercare e a trovare l'uomo là dov'egli è, nella condizione esistenziale e storica del suo vissuto. Qui la Chiesa gli si fa incontro con il Vangelo, messaggio di liberazione e di riconciliazione, di giustizia e di pace.





III. LA DOTTRINA SOCIALE NEL NOSTRO TEMPO: CENNI STORICI



a) L'avvio di un nuovo cammino

87 La locuzione dottrina sociale risale a Pio XI 139 e designa il « corpus » dottrinale riguardante temi di rilevanza sociale che, a partire dall'enciclica « Rerum novarum » 140 di Leone XIII, si è sviluppato nella Chiesa attraverso il Magistero dei Romani Pontefici e dei Vescovi in comunione con essi.141 La sollecitudine sociale non ha avuto certamente inizio con tale documento, perché la Chiesa non si è mai disinteressata della società; nondimeno, l'enciclica « Rerum novarum » dà l'avvio ad un nuovo cammino: innestandosi su una tradizione plurisecolare, essa segna un nuovo inizio e un sostanziale sviluppo dell'insegnamento in campo sociale.142

Nella sua continua attenzione per l'uomo nella società, la Chiesa ha accumulato così un ricco patrimonio dottrinale. Esso ha le sue radici nella Sacra Scrittura, specialmente nel Vangelo e negli scritti apostolici, ed ha preso forma e corpo a partire dai Padri della Chiesa e dai grandi Dottori del Medio Evo, costituendo una dottrina in cui, pur senza espliciti e diretti interventi a livello magisteriale, la Chiesa si è via via riconosciuta.

88 Gli eventi di natura economica che si produssero nel XIX secolo ebbero conseguenze sociali, politiche e culturali dirompenti. Gli avvenimenti collegati alla rivoluzione industriale sovvertirono secolari assetti sociali, sollevando gravi problemi di giustizia e ponendo la prima grande questione sociale, la questione operaia, suscitata dal conflitto tra capitale e lavoro. In tale quadro la Chiesa avvertì la necessità di dover intervenire in modo nuovo: le « res novae », costituite da quegli eventi, rappresentavano una sfida al suo insegnamento e motivavano una speciale sollecitudine pastorale verso larghe masse di uomini e di donne. Occorreva un rinnovato discernimento della situazione, in grado di delineare soluzioni appropriate a problemi inconsueti e inesplorati.



b) Dalla « Rerum novarum » ai nostri giorni

89 In risposta alla prima grande questione sociale, Leone XIII promulga la prima enciclica sociale, la « Rerum novarum ».143 Essa prende in esame la condizione dei lavoratori salariati, particolarmente penosa per gli operai delle industrie, afflitti da un'indegna miseria. La questione operaia viene trattata secondo la sua reale ampiezza: essa è esplorata in tutte le sue articolazioni sociali e politiche, per essere adeguatamente valutata alla luce dei principi dottrinali fondati sulla Rivelazione, sulla legge e sulla morale naturale.

La « Rerum novarum » elenca gli errori che provocano il male sociale, esclude il socialismo come rimedio ed espone, precisandola e attualizzandola, « la dottrina cattolica sul lavoro, sul diritto di proprietà, sul principio di collaborazione contrapposto alla lotta di classe come mezzo fondamentale per il cambiamento sociale, sul diritto dei deboli, sulla dignità dei poveri e sugli obblighi dei ricchi, sul perfezionamento della giustizia mediante la carità, sul diritto ad avere associazioni professionali ».144

La « Rerum novarum » è diventata il documento ispirativo e di riferimento dell'attività cristiana in campo sociale.145 Il tema centrale dell'Enciclica è quello dell'instaurazione di un ordine sociale giusto, in vista del quale è doveroso individuare dei criteri di giudizio che aiutino a valutare gli ordinamenti socio-politici esistenti e a prospettare linee d'azione per una loro opportuna trasformazione.

90 La « Rerum novarum » ha affrontato la questione operaia con un metodo che diventerà « un paradigma permanente » 146 per gli sviluppi successivi della dottrina sociale. I principi affermati da Leone XIII saranno ripresi e approfonditi dalle encicliche sociali successive. Tutta la dottrina sociale potrebbe essere intesa come un'attualizzazione, un approfondimento ed un'espansione del nucleo originario di principi esposti nella « Rerum novarum ». Con questo testo, coraggioso e lungimirante, Leone XIII « conferì alla Chiesa quasi uno “statuto di cittadinanza” nelle mutevoli realtà della vita pubblica » 147 e « scrisse una parola decisiva »,148 che divenne « un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa »,149 affermando che i gravi problemi sociali « potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione tra tutte le forze » 150 e aggiungendo anche: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai mancare in nessun modo l'opera sua ».151

91 All'inizio degli anni Trenta, a ridosso della grave crisi economica del 1929, Pio XI pubblica l'enciclica « Quadragesimo anno »,152 commemorativa dei quarant'anni della « Rerum novarum ». Il Papa rilegge il passato alla luce di una situazione economico-sociale in cui all'industrializzazione si era aggiunta l'espansione del potere dei gruppi finanziari, in ambito nazionale ed internazionale. Era il periodo post-bellico, in cui si andavano affermando in Europa i regimi totalitari, mentre si inaspriva la lotta di classe. L'Enciclica ammonisce sul mancato rispetto della libertà di associazione e ribadisce i principi di solidarietà e di collaborazione per superare le antinomie sociali. I rapporti tra capitale e lavoro devono essere all'insegna della cooperazione.153

La « Quadragesimo anno » ribadisce il principio che il salario deve essere proporzionato non solo alle necessità del lavoratore, ma anche a quelle della sua famiglia. Lo Stato, nei rapporti col settore privato, deve applicare il principio di sussidiarietà, principio che diverrà un elemento permanente della dottrina sociale. L'Enciclica rifiuta il liberalismo inteso come illimitata concorrenza delle forze economiche, ma riconferma il valore della proprietà privata, richiamandone la funzione sociale. In una società da ricostruire fin dalle basi economiche, che diventa essa stessa e tutta intera « la questione » da affrontare, « Pio XI sentì il dovere e la responsabilità di promuovere una maggiore conoscenza, una più esatta interpretazione e una urgente applicazione della legge morale regolativa dei rapporti umani..., allo scopo di superare il conflitto delle classi e di arrivare a un nuovo ordine sociale basato sulla giustizia e sulla carità ».154

92 Pio XI non mancò di far sentire la sua voce contro i regimi totalitari che durante il suo pontificato si affermarono in Europa. Già il 29 giugno 1931 aveva protestato contro le sopraffazioni del regime fascista in Italia con l'enciclica « Non abbiamo bisogno ».155 Nel 1937 pubblicò l'enciclica « Mit brennender Sorge »,156 sulla situazione della Chiesa Cattolica nel Reich germanico. Il testo della « Mit brennender Sorge » fu letto dal pulpito di tutte le chiese cattoliche in Germania, dopo essere stato diffuso nella massima segretezza. L'Enciclica giungeva dopo anni di soprusi e di violenze ed era stata espressamente richiesta a Pio XI dai Vescovi tedeschi, in seguito alle misure sempre più coercitive e repressive adottate dal Reich nel 1936, in particolare nei confronti dei giovani, obbligati ad iscriversi alla « Gioventù hitleriana ». Il Papa si rivolge ai sacerdoti e ai religiosi, ai fedeli laici, per incoraggiarli e chiamarli alla resistenza, fino a quando una vera pace tra la Chiesa e lo Stato non sia ristabilita. Nel 1938, davanti al diffondersi dell'antisemitismo, Pio XI affermò: « Siamo spiritualmente semiti ».157

Con l'enciclica « Divini Redemptoris »,158 sul comunismo ateo e sulla dottrina sociale cristiana, Pio XI criticò in modo sistematico il comunismo, definito « intrinsecamente perverso »,159 e indicò come mezzi principali per porre rimedio ai mali da esso prodotti, il rinnovamento della vita cristiana, l'esercizio della carità evangelica, l'adempimento dei doveri di giustizia a livello interpersonale e sociale in ordine al bene comune, l'istituzionalizzazione di corpi professionali e inter-professionali.

93 I Radiomessaggi natalizi di Pio XII,160 insieme ad altri importanti interventi in materia sociale, approfondiscono la riflessione magisteriale su un nuovo ordine sociale, governato dalla morale e dal diritto e centrato sulla giustizia e sulla pace. Durante il suo pontificato, Pio XII attraversò gli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale e quelli difficili della ricostruzione. Egli non pubblicò encicliche sociali, tuttavia manifestò costantemente, in numerosissimi contesti, la sua preoccupazione per l'ordine internazionale sconvolto: « Negli anni della guerra e del dopoguerra, il Magistero sociale di Pio XII rappresentò per molti popoli di tutti i continenti e per milioni di credenti e di non credenti la voce della coscienza universale, interpretata e proclamata in intima connessione con la Parola di Dio. Con la sua autorità morale e il suo prestigio, Pio XII portò la luce della sapienza cristiana a innumerevoli uomini di ogni categoria e livello sociale ».161

Una delle caratteristiche degli interventi di Pio XII sta nel rilievo dato al rapporto tra morale e diritto. Il Papa insiste sulla nozione di diritto naturale, come anima dell'ordinamento che va instaurato sul piano sia nazionale sia internazionale. Un altro aspetto importante dell'insegnamento di Pio XII sta nella sua attenzione per le categorie professionali e imprenditoriali, chiamate a concorrere in special modo al raggiungimento del bene comune: « Per la sua sensibilità e intelligenza nel cogliere i “segni dei tempi”, Pio XII può considerarsi il precursore immediato del Concilio Vaticano II e dell'insegnamento sociale dei Papi che gli sono succeduti ».162

94 Gli anni Sessanta aprono orizzonti promettenti: la ripresa dopo le devastazioni della guerra, l'inizio della decolonizzazione, i primi timidi segnali di un disgelo nei rapporti tra i due blocchi, americano e sovietico. In questo clima, il beato Giovanni XXIII legge in profondità i « segni dei tempi ».163 La questione sociale si sta universalizzando e coinvolge tutti i Paesi: accanto alla questione operaia e alla rivoluzione industriale, si delineano i problemi dell'agricoltura, delle aree in via di sviluppo, dell'incremento demografico e quelli relativi alla necessità di una cooperazione economica mondiale. Le disuguaglianze, in precedenza avvertite all'interno delle Nazioni, appaiono a livello internazionale e fanno emergere con sempre maggiore chiarezza la situazione drammatica in cui si trova il Terzo Mondo.

Giovanni XXIII, nell'enciclica « Mater et magistra »,164 « mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana ».165 Le parole-chiave dell'Enciclica sono comunità e socializzazione:166 la Chiesa è chiamata, nella verità, nella giustizia e nell'amore, a collaborare con tutti gli uomini per costruire un'autentica comunione. Per tale via la crescita economica non si limiterà a soddisfare i bisogni degli uomini, ma potrà promuovere anche la loro dignità.

95 Con l'enciclica « Pacem in terris »,167 Giovanni XXIII mette in evidenza il tema della pace, in un'epoca segnata dalla proliferazione nucleare. La « Pacem in terris » contiene, inoltre, una prima approfondita riflessione della Chiesa sui diritti; è l'Enciclica della pace e della dignità umana. Essa prosegue e completa il discorso della « Mater et magistra » e, nella direzione indicata da Leone XIII, sottolinea l'importanza della collaborazione tra tutti: è la prima volta che un documento della Chiesa viene indirizzato anche « a tutti gli uomini di buona volontà »,168 che vengono chiamati a un « compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà ».169 La « Pacem in terris » si sofferma sui pubblici poteri della comunità mondiale, chiamati ad « affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale ».170 Nel decimo anniversario della « Pacem in terris », il Cardinale Maurice Roy, Presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace, inviò a Paolo VI una Lettera unitamente a un Documento con una serie di riflessioni sulla capacità dell'insegnamento dell'Enciclica giovannea di illuminare i problemi nuovi connessi con la promozione della pace.171

96 La Costituzione pastorale « Gaudium et spes »,172 del Concilio Vaticano II, costituisce una significativa risposta della Chiesa alle attese del mondo contemporaneo. In tale Costituzione, « in sintonia con il rinnovamento ecclesiologico, si riflette una nuova concezione di essere comunità dei credenti e popolo di Dio. Essa ha suscitato quindi nuovo interesse per la dottrina contenuta nei documenti precedenti circa la testimonianza e la vita dei cristiani, come vie autentiche per rendere visibile la presenza di Dio nel mondo ».173 La « Gaudium et spes » traccia il volto di una Chiesa « intimamente solidale con il genere umano e la sua storia »,174 che cammina con tutta l'umanità ed è soggetta insieme al mondo alla medesima sorte terrena, ma che al tempo stesso è « come fermento e quasi anima della società umana, per rinnovarla in Cristo e trasformarla in famiglia di Dio ».175

La « Gaudium et spes » affronta organicamente i temi della cultura, della vita economico-sociale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e della comunità dei popoli, alla luce della visione antropologica cristiana e della missione della Chiesa. Tutto è considerato a partire dalla persona e in direzione della persona: « la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa ».176 La società, le sue strutture e il suo sviluppo devono essere finalizzati al « perfezionamento della persona umana ».177 Per la prima volta il Magistero della Chiesa, al suo più alto livello, si esprime in modo così ampio sui diversi aspetti temporali della vita cristiana: « Si deve riconoscere che l'attenzione data dalla Costituzione ai cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali e religiosi ha stimolato sempre più... la preoccupazione pastorale della Chiesa per i problemi degli uomini e il dialogo con il mondo ».178

97 Un altro documento del Concilio Vaticano II molto importante nel « corpus » della dottrina sociale della Chiesa è la dichiarazione « Dignitatis humanae »,179 in cui si proclama il diritto alla libertà religiosa. Il documento tratta il tema in due capitoli. Nel primo, di carattere generale, si afferma che il diritto alla libertà religiosa si fonda sulla dignità della persona umana e che deve essere sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società. Il secondo capitolo affronta il tema alla luce della Rivelazione e ne chiarisce le implicazioni pastorali, ricordando che si tratta di un diritto riguardante non solo le singole persone, ma anche le diverse comunità.

98 « Lo sviluppo è il nuovo nome della pace »,180 afferma Paolo VI nell'enciclica « Populorum progressio »,181 che può essere considerata come un ampliamento del capitolo sulla vita economico-sociale della « Gaudium et spes », nonostante introduca alcune significative novità. In particolare, il documento traccia le coordinate di uno sviluppo integrale dell'uomo e di uno sviluppo solidale dell'umanità: « due tematiche queste che sono da considerarsi come gli assi intorno ai quali si struttura il tessuto dell'Enciclica. Volendo convincere i destinatari dell'urgenza di un'azione solidale, il Papa presenta lo sviluppo come “il passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane” e ne specifica le caratteristiche ».182 Tale passaggio non è circoscritto alle dimensioni meramente economiche e tecniche, ma implica per ogni persona l'acquisizione della cultura, il rispetto della dignità degli altri, il riconoscimento « dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine ».183 Lo sviluppo a vantaggio di tutti risponde all'esigenza di una giustizia su scala mondiale che garantisca una pace planetaria e renda possibile la realizzazione di « un umanesimo plenario »,184 governato dai valori spirituali.

99 In tale prospettiva, Paolo VI istituisce, nel 1967, la Pontificia Commissione « Iustitia et Pax », realizzando un voto dei Padri Conciliari, per i quali è « assai opportuna la creazione di qualche organismo della Chiesa universale che abbia lo scopo di sensibilizzare la comunità dei cattolici a promuovere il progresso delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni ».185 Per iniziativa di Paolo VI, a cominciare dal 1968, la Chiesa celebra il primo giorno dell'anno la Giornata Mondiale della Pace. Lo stesso Pontefice dà avvio alla tradizione dei Messaggi che affrontano il tema scelto per ogni Giornata Mondiale della Pace, accrescendo così il « corpus » della dottrina sociale.

100 All'inizio degli anni Settanta, in un clima turbolento di contestazione fortemente ideologica, Paolo VI riprende l'insegnamento sociale di Leone XIII e lo aggiorna, in occasione dell'ottantesimo anniversario della « Rerum novarum », con la Lettera apostolica « Octogesima adveniens ».186 Il Papa riflette sulla società post-industriale con tutti i suoi complessi problemi, rilevando l'insufficienza delle ideologie a rispondere a tali sfide: l'urbanizzazione, la condizione giovanile, la situazione della donna, la disoccupazione, le discriminazioni, l'emigrazione, l'incremento demografico, l'influsso dei mezzi di comunicazione sociale, l'ambiente naturale.

101 Novant'anni dopo la « Rerum novarum », Giovanni Paolo II dedica l'enciclica « Laborem exercens » 187 al lavoro, bene fondamentale per la persona, fattore primario dell'attività economica e chiave di tutta la questione sociale. La « Laborem exercens » delinea una spiritualità e un'etica del lavoro, nel contesto di una profonda riflessione teologica e filosofica. Il lavoro non dev'essere inteso soltanto in senso oggettivo e materiale, ma bisogna tenere in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona.

102 Con l'enciclica « Sollicitudo rei socialis »,188 Giovanni Paolo II commemora il ventesimo anniversario della « Populorum progressio » e affronta nuovamente il tema dello sviluppo, lungo due direttrici: « da una parte, la situazione drammatica del mondo contemporaneo, sotto il profilo dello sviluppo mancato del Terzo Mondo, e dall'altra, il senso, le condizioni e le esigenze di uno sviluppo degno dell'uomo ».189 L'Enciclica introduce la differenza tra progresso e sviluppo e afferma che « il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell'“essere” dell'uomo. In questo modo, s'intende delineare con chiarezza la natura morale del vero sviluppo ».190 Giovanni Paolo II, evocando il motto del pontificato di Pio XII, « Opus iustitiae pax », la pace come frutto della giustizia, commenta: « Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cfr. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà ».191

103 Nel centesimo anniversario della « Rerum novarum », Giovanni Paolo II promulga la sua terza enciclica sociale, la « Centesimus annus »,192 da cui emerge la continuità dottrinale di cent'anni di Magistero sociale della Chiesa. Riprendendo uno dei principi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica, che era stato il tema centrale dell'Enciclica precedente, il Papa scrive: « il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà... è più volte enunciato da Leone XIII col nome di “amicizia”...; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di “carità sociale”, mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di “civiltà dell'amore” ».193 Giovanni Paolo II mette in evidenza come l'insegnamento sociale della Chiesa corra lungo l'asse della reciprocità tra Dio e l'uomo: riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio è la condizione di un autentico sviluppo umano. L'articolata ed approfondita analisi delle « res novae », e specialmente della grande svolta del 1989 con il crollo del sistema sovietico, contiene un apprezzamento per la democrazia e per l'economia libera, nel quadro di un'indispensabile solidarietà.



c) Nella luce e sotto l'impulso del Vangelo

104 I documenti qui richiamati costituiscono le pietre miliari del cammino della dottrina sociale dai tempi di Leone XIII ai nostri giorni. Questa sintetica rassegna si allungherebbe di molto se si tenesse conto di tutti gli interventi motivati, oltre che da un tema specifico, « dalla preoccupazione pastorale di proporre alla comunità cristiana e a tutti gli uomini di buona volontà i principi fondamentali, i criteri universali e gli orientamenti idonei a suggerire le scelte di fondo e la prassi coerente per ogni situazione concreta ».194

All'elaborazione e all'insegnamento della dottrina sociale, la Chiesa è stata ed è animata da intenti non teoretici, ma pastorali, quando si trova di fronte alle ripercussioni dei mutamenti sociali sui singoli esseri umani, su moltitudini di uomini e di donne, sulla loro stessa dignità, in contesti in cui « si cerca instancabilmente un ordine temporale più perfetto, senza che di pari passo avanzi il progresso spirituale ».195 Per queste ragioni si è costituita e sviluppata la dottrina sociale, « un aggiornato “corpus” dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa, nella pienezza della Parola rivelata da Cristo Gesù e con l'assistenza dello Spirito Santo (cfr. Gv 14,16.26; 16,13-15), va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia ».196




CAPITOLO TERZO

LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI




III. LA PERSONA UMANA E I SUOI MOLTI PROFILI


LA SOCIALITÀ UMANA

149 La persona è costitutivamente un essere sociale,294 perché così l'ha voluta Dio che l'ha creata.295 La natura dell'uomo si manifesta, infatti, come natura di un essere che risponde ai propri bisogni sulla base di una soggettività relazionale, ossia alla maniera di un essere libero e responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili ed è capace di comunione con loro nell'ordine della conoscenza e dell'amore: « Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire ».296

Occorre pertanto sottolineare che la vita comunitaria è una caratteristica naturale che distingue l'uomo dal resto delle creature terrene. L'agire sociale porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, quello di una persona operante in una comunità di persone: questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.297 Tale caratteristica relazionale acquista, alla luce della fede, un senso più profondo e stabile. Fatta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), e costituita nell'universo visibile per vivere in società (cfr. Gen 2,20.23) e dominare la terra (cfr. Gen 1,26.28-30), la persona umana è perciò sin dall'inizio chiamata alla vita sociale: « Dio non ha creato l'uomo come un “essere solitario”, ma lo ha voluto come un “essere sociale”. La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri ».298

150 La socialità umana non sfocia automaticamente verso la comunione delle persone, verso il dono di sé. A causa della superbia e dell'egoismo, l'uomo scopre in se stesso germi di asocialità, di chiusura individualistica e di sopraffazione dell'altro.299 Ogni società, degna di tal nome, può ritenersi nella verità quando ogni suo membro, grazie alla propria capacità di conoscere il bene, lo persegue per sé e per gli altri. È per amore del proprio e dell'altrui bene che ci si unisce in gruppi stabili, aventi come fine il raggiungimento di un bene comune. Anche le varie società devono entrare in relazioni di solidarietà, di comunicazione e di collaborazione, a servizio dell'uomo e del bene comune.300

151 La socialità umana non è uniforme, ma assume molteplici espressioni. Il bene comune dipende, infatti, da un sano pluralismo sociale. Le molteplici società sono chiamate a costituire un tessuto unitario ed armonico, al cui interno sia possibile ad ognuna conservare e sviluppare la propria fisionomia e autonomia. Alcune società, come la famiglia, la comunità civile e la comunità religiosa sono più immediatamente rispondenti all'intima natura dell'uomo, altre procedono piuttosto dalla libera volontà: « Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni “a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale”. Tale “socializzazione” esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti ».301






CAPITOLO SETTIMO

LA VITA ECONOMICA




IV. ISTITUZIONI ECONOMICHE AL SERVIZIO DELL'UOMO



Il ruolo dei corpi intermedi

356 Il sistema economico-sociale deve essere caratterizzato dalla compresenza di azione pubblica e privata, inclusa l'azione privata senza finalità di lucro. Si configura in tal modo una pluralità di centri decisionali e di logiche di azione. Vi sono alcune categorie di beni, collettivi e di uso comune, la cui utilizzazione non può dipendere dai meccanismi del mercato 743 e non è neppure di esclusiva competenza dello Stato. Il compito dello Stato, in relazione a questi beni, è piuttosto quello di valorizzare tutte le iniziative sociali ed economiche che hanno effetti pubblici, promosse dalle formazioni intermedie. La società civile, organizzata nei suoi corpi intermedi, è capace di contribuire al conseguimento del bene comune ponendosi in un rapporto di collaborazione e di efficace complementarità rispetto allo Stato e al mercato, favorendo così lo sviluppo di un'opportuna democrazia economica. In un simile contesto, l'intervento dello Stato va improntato all'esercizio di una vera solidarietà, che come tale non deve mai essere disgiunta dalla sussidiarietà.

357 Le organizzazioni private senza fine di lucro hanno un loro spazio specifico in ambito economico. Contraddistingue tali organizzazioni il coraggioso tentativo di coniugare armonicamente efficienza produttiva e solidarietà. In genere esse si costituiscono sulla base di un patto associativo e sono espressione di una comune tensione ideale dei soggetti che liberamente decidono di aderirvi. Lo Stato è chiamato a rispettare la natura di queste organizzazioni e a valorizzarne le caratteristiche, dando concreta attuazione al principio di sussidiarietà, che postula appunto un rispetto e una promozione della dignità e dell'autonoma responsabilità del soggetto « sussidiato ».





CAPITOLO OTTAVO

LA COMUNITÀ POLITICA




V. LA COMUNITÀ POLITICA A SERVIZIO DELLA SOCIETÀ CIVILE



Il valore della società civile

417 La comunità politica è costituita per essere al servizio della società civile, dalla quale deriva. Alla distinzione tra comunità politica e società civile la Chiesa ha contribuito soprattutto con la sua visione dell'uomo, inteso come essere autonomo, relazionale, aperto alla Trascendenza, contrastata sia dalle ideologie politiche di stampo individualistico, sia da quelle totalitarie tendenti ad assorbire la società civile nella sfera dello Stato. L'impegno della Chiesa in favore del pluralismo sociale mira a conseguire una più adeguata realizzazione del bene comune e della stessa democrazia, secondo i principi della solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia.

La società civile è un insieme di relazioni e di risorse, culturali e associative, relativamente autonome dall'ambito sia politico sia economico: « Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione ».853 Essa è caratterizzata da una propria capacità di progetto, orientata a favorire una convivenza sociale più libera e più giusta, in cui vari gruppi di cittadini si associano, mobilitandosi per elaborare ed esprimere i propri orientamenti, per far fronte ai loro bisogni fondamentali, per difendere legittimi interessi.



Il primato della società civile

418 La comunità politica e la società civile, seppure reciprocamente collegate e interdipendenti, non sono uguali nella gerarchia dei fini. La comunità politica è essenzialmente al servizio della società civile e, in ultima analisi, delle persone e dei gruppi che la compongono.854 La società civile, dunque, non può essere considerata un'appendice o una variabile della comunità politica: anzi, essa ha la preminenza, perché nella stessa società civile trova giustificazione l'esistenza della comunità politica.

Lo Stato deve fornire una cornice giuridica adeguata al libero esercizio delle attività dei soggetti sociali ed essere pronto ad intervenire, quando sia necessario e rispettando il principio di sussidiarietà, per orientare verso il bene comune la dialettica tra le libere associazioni attive nella vita democratica. La società civile è composita e frastagliata, non priva di ambiguità e di contraddizioni: è anche luogo di scontro tra interessi diversi, con il rischio che il più forte prevalga sul più indifeso.




VI. LO STATO E LE COMUNITÀ RELIGIOSE



Chiesa Cattolica e Comunità politica



a) Autonomia e indipendenza

424 La Chiesa e la comunità politica, pur esprimendosi ambedue con strutture organizzative visibili, sono di natura diversa sia per la loro configurazione sia per le finalità che perseguono. Il Concilio Vaticano II ha riaffermato solennemente: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra ».867 La Chiesa si organizza con forme atte a soddisfare le esigenze spirituali dei suoi fedeli, mentre le diverse comunità politiche generano rapporti e istituzioni al servizio di tutto ciò che rientra nel bene comune temporale. L'autonomia e l'indipendenza delle due realtà si mostrano chiaramente soprattutto nell'ordine dei fini.

Il dovere di rispettare la libertà religiosa impone alla comunità politica di garantire alla Chiesa lo spazio d'azione necessario. La Chiesa, d'altra parte, non ha un campo di competenza specifica per quanto riguarda la struttura della comunità politica: « La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale » 868 e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei programmi politici, se non per le loro implicazioni religiose e morali.



b) Collaborazione

425 L'autonomia reciproca della Chiesa e della comunità politica non comporta una separazione che escluda la loro collaborazione: entrambe, anche se a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. La Chiesa e la comunità politica, infatti, si esprimono in forme organizzative che non sono fini a se stesse, ma al servizio dell'uomo, per consentirgli il pieno esercizio dei suoi diritti, inerenti alla sua identità di cittadino e di cristiano, e un corretto adempimento dei corrispondenti doveri. La Chiesa e la comunità politica pos-sono svolgere il loro servizio « a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe allacciano tra loro una sana collaborazione, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ».869

426 La Chiesa ha diritto al riconoscimento giuridico della propria identità. Proprio perché la sua missione abbraccia tutta la realtà umana, la Chiesa, sentendosi « davvero e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia »,870 rivendica la libertà di esprimere il suo giudizio morale su tale realtà ogniqualvolta ciò sia richiesto dalla difesa dei diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime.871

La Chiesa pertanto chiede: libertà di espressione, di insegnamento, di evangelizzazione; libertà di manifestare il culto in pubblico; libertà di organizzarsi e avere propri regolamenti interni; libertà di scelta, di educazione, di nomina e di trasferimento dei propri ministri; libertà di costruire edifici religiosi; libertà di acquistare e di possedere beni adeguati alla propria attività; libertà di associazione per fini non solo religiosi, ma anche educativi, culturali, sanitari e caritativi.872

427 Al fine di prevenire o attutire possibili conflitti tra Chiesa e comunità politica, l'esperienza giuridica della Chiesa e dello Stato ha variamente delineato forme stabili di rapporti e strumenti idonei a garantire relazioni armoniche. Tale esperienza è un punto di riferimento essenziale per tutti i casi in cui lo Stato ha la pretesa di invadere il campo d'azione della Chiesa, ostacolandone la libera attività fino a perseguitarla apertamente o, viceversa, nei casi in cui organizzazioni ecclesiali non agiscano correttamente nei confronti dello Stato.





CAPITOLO DODICESIMO

DOTTRINA SOCIALE E AZIONE ECCLESIALE



II. DOTTRINA SOCIALE ED IMPEGNO DEI FEDELI LAICI



a) Il FEDELE LAICO

541 La connotazione essenziale dei fedeli laici, che operano nella vigna del Signore (cfr. Mt 20,1-16), è l'indole secolare della loro sequela di Cristo, che si realizza appunto nel mondo: « è dei laici cercare il regno di Dio trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali ».1139 Con il Battesimo i laici sono inseriti in Cristo, resi partecipi della Sua vita e della Sua missione secondo la loro peculiare identità: « Con il nome di laici si intendono... tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto nella Chiesa, cioè i fedeli che, in quanto incorporati a Cristo con il battesimo, costituiti Popolo di Dio e a loro modo fatti partecipi della dignità sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte adempiono la missione di tutto il popolo cristiano nella Chiesa e nel mondo ».1140

542 L'identità del fedele laico nasce e trae alimento dai sacramenti: dal Battesimo, dalla Cresima e dall'Eucaristia. Il Battesimo conforma a Cristo, Figlio del Padre, primogenito di ogni creatura, inviato come Maestro e Redentore a tutti gli uomini. La Cresima o Confermazione configura a Cristo, inviato per vivificare il creato e ogni essere con l'effusione del Suo Spirito. L'Eucaristia rende il credente partecipe dell'unico e perfetto sacrificio che Cristo ha offerto al Padre, nella propria carne, per la salvezza del mondo.

Il fedele laico è discepolo di Cristo a partire dai sacramenti e in forza di essi, in virtù cioè di quanto Dio ha operato in lui imprimendogli l'immagine stessa del Figlio Suo, Gesù Cristo. Da questo dono divino di grazia, e non da concessioni umane, nasce il triplice « munus » (dono e compito), che qualifica il laico come profeta, sacerdote e re, secondo la sua indole secolare.

543 È compito proprio del fedele laico annunciare il Vangelo con un'esemplare testimonianza di vita, radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia; impegno professionale nell'ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca; esercizio delle responsabilità sociali, economiche, politiche. Tutte le realtà umane secolari, personali e sociali, ambienti e situazioni storiche, strutture e istituzioni, sono il luogo proprio del vivere e dell'operare dei cristiani laici. Queste realtà sono destinatarie dell'amore di Dio; l'impegno dei fedeli laici deve corrispondere a questa visione e qualificarsi come espressione della carità evangelica: « l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale ».1141

544 La testimonianza del fedele laico nasce da un dono di grazia, riconosciuto, coltivato e portato a maturazione.1142 È questa la motivazione che rende significativo il suo impegno nel mondo e lo pone agli antipodi della mistica dell'azione, propria dell'umanesimo ateo, priva di fondamento ultimo e circoscritta in prospettive puramente temporali. L'orizzonte escatologico è la chiave che permette di comprendere correttamente le realtà umane: nella prospettiva dei beni definitivi, il fedele laico è in grado di impostare con autenticità la propria attività terrena. Il livello di vita e la maggiore produttività economica non sono gli unici indicatori validi per misurare la piena realizzazione dell'uomo in questa vita e valgono ancora meno se riferiti a quella futura: « L'uomo non è limitato al solo ordine temporale ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna ».1143



b) La spiritualità del fedele laico

545 I fedeli laici sono chiamati a coltivare un'autentica spiritualità laicale, che li rigeneri come uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Una simile spiritualità edifica il mondo secondo lo Spirito di Gesù: rende capaci di guardare oltre la storia, senza allontanarsene; di coltivare un amore appassionato per Dio, senza distogliere lo sguardo dai fratelli, che si riescono anzi a vedere come li vede il Signore e ad amare come Lui li ama. È una spiritualità che rifugge sia lo spiritualismo intimista sia l'attivismo sociale e sa esprimersi in una sintesi vitale che conferisce unità, significato e speranza all'esistenza, per tante e varie ragioni contraddittoria e frammentata. Animati da tale spiritualità, i fedeli laici possono contribuire, « come un fermento alla santificazione del mondo quasi dall'interno, adempiendo i compiti loro propri guidati da spirito evangelico, e così... manifestare Cristo agli altri prima di tutto con la testimonianza della propria vita ».1144

546 I fedeli laici devono fortificare la loro vita spirituale e morale, maturando le competenze richieste per lo svolgimento dei propri doveri sociali. L'approfondimento delle motivazioni interiori e l'acquisizione dello stile appropriato all'impegno in campo sociale e politico sono frutto di un percorso dinamico e permanente di formazione, orientato anzitutto a raggiungere un'armonia tra la vita, nella sua complessità, e la fede. Nell'esperienza del credente, infatti, « non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura ».1145

La sintesi tra fede e vita richiede un cammino scandito con sapienza dagli elementi qualificanti dell'itinerario cristiano: il riferimento alla Parola di Dio; la celebrazione liturgica del Mistero cristiano; la preghiera personale; l'esperienza ecclesiale autentica, arricchita dal particolare servizio formativo di sagge guide spirituali; l'esercizio delle virtù sociali e il perseverante impegno di formazione culturale e professionale.



c) Agire con prudenza

547 Il fedele laico deve agire secondo le esigenze dettate dalla prudenza: è questa la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. Grazie ad essa si applicano correttamente i principi morali ai casi particolari. La prudenza si articola in tre momenti: chiarifica la situazione e la valuta, ispira la decisione e dà impulso all'azione. Il primo momento è qualificato dalla riflessione e dalla consultazione per studiare l'argomento richiedendo i necessari pareri; il secondo è il momento valutativo dell'analisi e del giudizio sulla realtà alla luce del progetto di Dio; il terzo momento, quello della decisione, si basa sulle precedenti fasi, che rendono possibile il discernimento tra le azioni da compiere.

548 La prudenza rende capaci di prendere decisioni coerenti, con realismo e senso di responsabilità nei confronti delle conseguenze delle proprie azioni. La visione assai diffusa che identifica la prudenza con l'astuzia, il calcolo utilitaristico, la diffidenza, oppure con la pavidità e l'indecisione, è assai lontana dalla retta concezione di questa virtù, propria della ragione pratica, che aiuta a decidere con assennatezza e coraggio le azioni da compiere, divenendo misura delle altre virtù. La prudenza afferma il bene come dovere e mostra il modo con cui la persona si determina a compierlo.1146 Essa è, in definitiva, una virtù che esige l'esercizio maturo del pensiero e della responsabilità, nell'obiettiva conoscenza della situazione e nella retta volontà che guida alla decisione.1147



d) Dottrina sociale ed esperienza associativa

549 La dottrina sociale della Chiesa deve entrare, come parte integrante, nel cammino formativo del fedele laico. L'esperienza dimostra che il lavoro di formazione è possibile, normalmente, all'interno delle aggregazioni laicali ecclesiali, che rispondono a precisi criteri di ecclesialità: 1148 « Anche i gruppi, le associazioni e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli laici: hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi, di offrire una formazione profondamente inserita nella stessa esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro aderenti ricevono da altre persone e comunità ».1149 La dottrina sociale della Chiesa sostiene e illumina il ruolo delle associazioni, dei movimenti e dei gruppi laicali impegnati a vivificare cristianamente i vari settori dell'ordine temporale: 1150 « La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa ».1151

550 La dottrina sociale della Chiesa è importantissima per le aggregazioni ecclesiali che hanno come obiettivo del loro impegno l'azione pastorale in ambito sociale. Esse costituiscono un punto di riferimento privilegiato in quanto operano nella vita sociale in conformità alla loro fisionomia ecclesiale e dimostrano, in questo modo, quanto sia rilevante il valore della preghiera, della riflessione e del dialogo per affrontare le realtà sociali e per migliorarle. Vale, in ogni caso, la distinzione « tra quello che i fedeli operano a nome proprio, sia da soli che associati, come cittadini guidati dalla coscienza cristiana, e quello che compiono a nome della Chiesa assieme ai loro pastori ».1152

Anche le associazioni di categoria, che uniscono gli aderenti in nome della vocazione e della missione cristiana all'interno di un determinato ambiente professionale o culturale, possono svolgere un prezioso lavoro di maturazione cristiana. Così — ad esempio — una associazione cattolica di medici forma i suoi aderenti attraverso l'esercizio del discernimento di fronte ai tanti problemi che la scienza medica, la biologia ed altre scienze presentano alla competenza professionale del medico, ma anche alla sua coscienza e alla sua fede. Altrettanto si potrà dire di associazioni di insegnanti cattolici, di giuristi, di imprenditori, di lavoratori, ma anche di sportivi, di ecologisti... È in tale contesto che la dottrina sociale rivela la sua efficacia formativa nei confronti della coscienza di ciascuna persona e della cultura di un Paese.



e) Il servizio nei diversi ambiti della vita sociale

551 La presenza del fedele laico in campo sociale è caratterizzata dal servizio, segno ed espressione della carità, che si manifesta nella vita familiare, culturale, lavorativa, economica, politica, secondo profili specifici: ottemperando alle diverse esigenze del loro particolare ambito di impegno, i fedeli laici esprimono la verità della loro fede e, nello stesso tempo, la verità della dottrina sociale della Chiesa, che trova la sua piena realizzazione quando è vissuta in termini concreti per la soluzione dei problemi sociali. La stessa credibilità della dottrina sociale risiede infatti nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna.1153

Entrati nel terzo millennio dell'era cristiana, i fedeli laici si apriranno con la loro testimonianza a tutti gli uomini con i quali si faranno carico degli appelli più pressanti del nostro tempo: « Quanto viene proposto da questo Sacro Concilio dai tesori della dottrina della Chiesa intende aiutare tutti gli uomini dei nostri tempi, sia che credano in Dio sia che non lo riconoscano esplicitamente, affinché, percependo più chiaramente la loro vocazione integrale, rendano il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo, aspirino a una fratellanza universale e motivata più profondamente e, sotto l'impulso dell'amore, rispondano con uno sforzo generoso e comune agli appelli più pressanti della nostra epoca ».1154


1. Il servizio alla persona umana

552 Tra gli ambiti dell'impegno sociale dei fedeli laici emerge anzitutto il servizio alla persona umana: la promozione della dignità di ogni persona, il bene più prezioso che l'uomo possiede, è il compito « essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini ».1155

La prima forma in cui si assolve tale compito consiste nell'impegno e nello sforzo per il proprio rinnovamento interiore, perché la storia dell'umanità non è mossa da un determinismo impersonale, ma da una costellazione di soggetti dai cui atti liberi dipende l'ordine sociale. Le istituzioni sociali non garantiscono da sé, quasi meccanicamente, il bene di tutti: « l'interno rinnovamento dello spirito cristiano » 1156 deve precedere l'impegno di migliorare la società « secondo lo spirito della Chiesa, rassodandovi la giustizia e la carità sociale ».1157

Dalla conversione del cuore scaturisce la sollecitudine per l'uomo amato come fratello. Questa sollecitudine fa comprendere come un obbligo l'impegno di risanare le istituzioni, le strutture e le condizioni di vita contrarie alla dignità umana. I fedeli laici devono perciò adoperarsi contemporaneamente per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, tenendo conto della situazione storica e usando mezzi leciti, al fine di ottenere istituzioni in cui la dignità di tutti gli uomini sia veramente rispettata e promossa.

553 La promozione della dignità umana implica anzitutto l'affermazione dell'inviolabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale, il primo tra tutti e condizione per tutti gli altri diritti della persona.1158 Il rispetto della dignità personale esige, inoltre, il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo, che non è « un'esigenza semplicemente “confessionale”, bensì un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa dell'uomo ».1159 Il riconoscimento effettivo del diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa è uno dei beni più alti e dei doveri più gravi di ogni popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della società.1160 Nell'attuale contesto culturale, singolare urgenza assume l'impegno a difendere il matrimonio e la famiglia, che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e insostituibile di queste realtà in ordine all'autentico sviluppo della convivenza umana.1161


2. Il servizio alla cultura

554 La cultura deve costituire un campo privilegiato di presenza e di impegno per la Chiesa e per i singoli cristiani. Il distacco tra la fede cristiana e la vita quotidiana è giudicato dal Concilio Vaticano II come uno degli errori più gravi del nostro tempo.1162 Lo smarrimento dell'orizzonte metafisico; la perdita della nostalgia di Dio nel narcisismo autoreferenziale e nella dovizia di mezzi di uno stile di vita consumistico; il primato assegnato alla tecnologia e alla ricerca scientifica fine a se stessa; l'enfatizzazione dell'apparire, della ricerca dell'immagine, delle tecniche di comunicazione: tutti questi fenomeni devono essere compresi nei loro aspetti culturali e messi in rapporto con il tema centrale della persona umana, della sua crescita integrale, della sua capacità di comunicazione e di relazione con gli altri uomini, del suo continuo interrogarsi sulle grandi questioni che attraversano l'esistenza. Si tenga presente che « la cultura è ciò per cui l'uomo diventa più uomo, “è” di più, accede di più all'“essere” ».1163

555 Un particolare campo di impegno dei fedeli laici deve essere la coltivazione di una cultura sociale e politica ispirata al Vangelo. La storia recente ha mostrato la debolezza e il radicale fallimento di prospettive culturali che sono state a lungo condivise e vincenti, in particolare a livello sociale e politico. In questo ambito, specialmente nei decenni posteriori alla Seconda Guerra Mondiale, i cattolici, in diversi Paesi, hanno saputo sviluppare un impegno alto, che testimonia, oggi con evidenza sempre maggiore, la consistenza della loro ispirazione e del loro patrimonio di valori. L'impegno sociale e politico dei cattolici, infatti, non è mai limitato alla sola trasformazione delle strutture, perché lo percorre alla base una cultura che accoglie e rende ragione delle istanze che derivano dalla fede e dalla morale, ponendole a fondamento e obiettivo di progettualità concrete. Quando questa consapevolezza viene meno, gli stessi cattolici si condannano alla diaspora culturale e rendono insufficienti e riduttive le loro proposte. Presentare in termini culturali aggiornati il patrimonio della Tradizione cattolica, i suoi valori, i suoi contenuti, l'intera eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo è anche oggi l'urgenza prioritaria. La fede in Gesù Cristo, che ha definito se stesso « la via, la verità e la vita » (Gv 14,6), spinge i cristiani a cimentarsi con impegno sempre rinnovato nella costruzione di cultura sociale e politica ispirata al Vangelo.1164

556 La perfezione integrale della persona e il bene di tutta la società sono i fini essenziali della cultura: 1165 la dimensione etica della cultura è quindi una priorità nell'azione sociale e politica dei fedeli laici. La disattenzione verso tale dimensione trasforma facilmente la cultura in uno strumento di impoverimento dell'umanità. Una cultura può diventare sterile e avviarsi a decadenza, quando « si chiude in se stessa e cerca di perpetuare forme di vita invecchiate, rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell'uomo ».1166 La formazione di una cultura capace di arricchire l'uomo richiede invece il coinvolgimento di tutta la persona, la quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la sua conoscenza del mondo e degli uomini e vi investe, inoltre, la sua capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di disponibilità a promuovere il bene comune.1167

557 L'impegno sociale e politico del fedele laico in ambito culturale assume oggi alcune direzioni precise. La prima è quella che cerca di garantire a ciascuno il diritto di tutti a una cultura umana e civile « conforme alla dignità della persona, senza discriminazione di razza, di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale ».1168 Tale diritto implica il diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera e aperta; la libertà di accesso ai mezzi di comunicazione sociale, per la quale va evitata ogni forma di monopolio e di controllo ideologico; la libertà di ricerca, di divulgazione del pensiero, di dibattito e di confronto. Alla radice della povertà di tanti popoli ci sono anche varie forme di privazione culturale e di mancato riconoscimento dei diritti culturali. L'impegno per l'educazione e la formazione della persona costituisce da sempre la prima sollecitudine dell'azione sociale dei cristiani.

558 La seconda sfida all'impegno del fedele laico riguarda il contenuto della cultura, ossia la verità. La questione della verità è essenziale per la cultura, perché permane « per ogni uomo il dovere di ritenere il concetto di persona umana integrale, nella quale eccellono i valori dell'intelligenza, della volontà, della coscienza e della fraternità ».1169 Una corretta antropologia è il criterio di illuminazione e di verifica per tutte le forme culturali storiche. L'impegno del cristiano in ambito culturale si oppone a tutte le visioni riduttive e ideologiche dell'uomo e della vita. Il dinamismo di apertura alla verità è garantito anzitutto dal fatto che « le culture delle diverse Nazioni sono, in fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso dell'esistenza personale ».1170

559 I cristiani devono prodigarsi per dare piena valorizzazione alla dimensione religiosa della cultura; tale compito è molto importante e urgente per la qualità della vita umana, a livello individuale e sociale. La domanda che proviene dal mistero della vita e rimanda al mistero più grande, quello di Dio, infatti, sta al centro di ogni cultura; quando la si elimina, si corrompono la cultura e la vita morale delle Nazioni.1171 L'autentica dimensione religiosa è costitutiva dell'uomo e gli permette di aprire alle sue svariate attività l'orizzonte in cui esse trovano significato e direzione. La religiosità o spiritualità dell'uomo si manifesta nelle forme della cultura, alle quali dona vitalità e ispirazione. Ne sono testimonianza le innumerevoli opere d'arte di tutti i tempi. Quando è negata la dimensione religiosa di una persona o di un popolo, è mortificata la cultura stessa; talvolta si giunge al punto di farla scomparire.

560 Nella promozione di un'autentica cultura, i fedeli laici riserveranno grande rilievo ai mezzi di comunicazione di massa, considerando soprattutto i contenuti delle innumerevoli scelte operate dalle persone: tali scelte, pur variando da gruppo a gruppo e da individuo a individuo, hanno tutte un peso morale e sotto questo profilo devono essere valutate. Per scegliere correttamente, bisogna conoscere le norme dell'ordine morale e applicarle fedelmente.1172 La Chiesa offre una lunga tradizione di saggezza, radicata nella Rivelazione divina e nella riflessione umana,1173 il cui orientamento teologico funge da importante correttivo sia nei confronti della « soluzione “atea”, che priva l'uomo di una delle sue componenti fondamentali, quella spirituale, quanto nei confronti delle soluzioni permissive e consumistiche, le quali con vari pretesti mirano a convincerlo della sua indipendenza da ogni legge e da Dio ».1174 Più che giudicare i mezzi di comunicazione sociale, questa tradizione si pone al loro servizio: « la cultura della sapienza, propria della Chiesa, può evitare che la cultura dell'informazione dei mezzi di comunicazione sociale divenga un accumularsi di fatti senza senso ».1175

561 I fedeli laici guarderanno ai media come a possibili e potenti strumenti di solidarietà: « La solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e di una libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il rispetto degli altri ».1176 Ciò non avviene se i mezzi di comunicazione sociale vengono usati per edificare e sostenere sistemi economici al servizio dell'avidità e della bramosia. Di fronte a gravi ingiustizie, la decisione di ignorare del tutto alcuni aspetti della sofferenza umana rispecchia una selezione indifendibile.1177 Le strutture e le politiche di comunicazione e la distribuzione della tecnologia sono fattori che contribuiscono a far sì che alcune persone siano « ricche » di informazione e altre « povere » di informazione, in un'epoca in cui la prosperità e perfino la sopravvivenza dipendono dall'informazione. In tal modo, dunque, i mezzi di comunicazione sociale contribuiscono alle ingiustizie e agli squilibri che causano quello stesso dolore che poi riportano come informazione. Le tecnologia della comunicazione e dell'informazione, insieme alla formazione nel loro uso, devono mirare ad eliminare queste ingiustizie e questi squilibri.

562 I professionisti dei mezzi di comunicazione sociale non sono gli unici ad avere doveri etici. Anche i fruitori hanno obblighi. Gli operatori che tentano di assumersi delle responsabilità meritano un pubblico consapevole delle proprie. Il primo dovere degli utenti delle comunicazioni sociali consiste nel discernimento e nella selezione. I genitori, le famiglie e la Chiesa hanno responsabilità precise e irrinunciabili. Per quanti operano a vario titolo nel campo delle comunicazioni sociali risuona forte e chiaro l'ammonimento di san Paolo: « Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri... Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano » (Ef 4,25.29). Il servizio alla persona mediante l'edificazione di una comunità umana basata sulla solidarietà, sulla giustizia e sull'amore e la diffusione della verità sulla vita umana e sul suo compimento finale in Dio sono le essenziali esigenze etiche dei mezzi di comunicazione sociale.1178 Alla luce della fede, la comunicazione umana si deve considerare un percorso da Babele alla Pentecoste, ovvero l'impegno, personale e sociale, di superare il collasso della comunicazione (cfr. Gen 11,4-8) aprendosi al dono delle lingue (cfr. At 2,5-11), alla comunicazione ripristinata dalla forza dello Spirito, inviato dal Figlio.


3. Il servizio all'economia

563 Davanti alla complessità del contesto economico contemporaneo, il fedele laico si farà guidare nella sua azione dai principi del Magistero sociale. È necessario che essi siano conosciuti e accolti nell'attività economica stessa: quando tali principi sono disattesi, primo fra tutti la centralità della persona umana, si compromette la qualità dell'attività economica.1179

L'impegno del cristiano si tradurrà anche in uno sforzo di riflessione culturale finalizzata soprattutto a un discernimento riguardante gli attuali modelli di sviluppo economico-sociale. La riduzione della questione dello sviluppo a problema esclusivamente tecnico produrrebbe uno svuotamento del suo vero contenuto che invece riguarda « la dignità dell'uomo e dei popoli ».1180

564 I cultori della scienza economica, gli operatori del settore e i responsabili politici devono avvertire l'urgenza di un ripensamento dell'economia, considerando, da una parte, la drammatica povertà materiale di miliardi di persone e, dall'altra, il fatto che « le attuali strutture economiche, sociali e culturali faticano a farsi carico delle esigenze di un autentico sviluppo ».1181 Le legittime esigenze dell'efficienza economica dovranno essere meglio armonizzate con quelle della partecipazione politica e della giustizia sociale. In concreto, ciò significa intessere di solidarietà le reti delle interdipendenze economiche, politiche e sociali, che i processi di globalizzazione in atto tendono ad accrescere.1182 In tale sforzo di ripensamento, che si profila articolato ed è destinato a incidere sulle concezioni della realtà economica, risultano preziose le aggregazioni di ispirazione cristiana che si muovono nell'ambito economico: associazioni di lavoratori, di imprenditori, di economisti.


4. Il servizio alla politica

565 Per i fedeli laici l'impegno politico è un'espressione qualificata ed esigente dell'impegno cristiano al servizio degli altri.1183 Il perseguimento del bene comune in uno spirito di servizio; lo sviluppo della giustizia con un'attenzione particolare verso le situazioni di povertà e sofferenza; il rispetto dell'autonomia delle realtà terrene; il principio di sussidiarietà; la promozione del dialogo e della pace nell'orizzonte della solidarietà: sono questi gli orientamenti a cui i cristiani laici devono ispirare la loro azione politica. Tutti i credenti, in quanto titolari dei diritti e doveri della cittadinanza, sono tenuti al rispetto di tali orientamenti; coloro che hanno compiti diretti e istituzionali nella gestione delle complesse problematiche della cosa pubblica, sia nelle amministrazioni locali, sia nelle istituzioni nazionali e internazionali, ne dovranno specialmente tener conto.

566 I compiti di responsabilità nelle istituzioni sociali e politiche esigono un impegno severo e articolato, che sappia evidenziare, con i contributi di riflessione al dibattito politico, con la progettazione e con le scelte operative, l'assoluta necessità di una qualificazione morale della vita sociale e politica. Un'attenzione inadeguata verso la dimensione morale conduce alla disumanizzazione della vita associata e delle istituzioni sociali e politiche, consolidando le « strutture di peccato »: 1184 « Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube adagiarsi su posizioni estranee all'impegno politico o su una forma di confessionalismo, ma l'espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento più giusto e coerente con la dignità della persona umana ».1185

567 Nel contesto dell'impegno politico del fedele laico, richiede una precisa cura la preparazione all'esercizio del potere, che i credenti devono assumersi, specialmente quando sono chiamati a tale incarico dalla fiducia dei concittadini, secondo le regole democratiche. Essi devono apprezzare il sistema della democrazia, « in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno »,1186 e respingere gruppi occulti di potere che mirano a condizionare o a sovvertire il funzionamento delle legittime istituzioni. L'esercizio dell'autorità deve assumere il carattere del servizio, da svolgere sempre nell'ambito della legge morale per il conseguimento del bene comune: 1187 chi esercita l'autorità politica deve far convergere le energie di tutti i cittadini verso tale obiettivo, non in forma autoritaria, ma avvalendosi della forza morale alimentata dalla libertà.

568 Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. Ciò esige un metodo di discernimento,1188 personale e comunitario, articolato attorno ad alcuni punti nodali: la conoscenza delle situazioni, analizzate con l'aiuto delle scienze sociali e degli strumenti adeguati; la riflessione sistematica sulle realtà, alla luce del messaggio immutabile del Vangelo e dell'insegnamento sociale della Chiesa; l'individuazione delle scelte orientate a far evolvere in senso positivo la situazione presente. Dalla profondità dell'ascolto e dell'interpretazione della realtà possono nascere scelte operative concrete ed efficaci; ad esse, tuttavia, non si deve mai attribuire un valore assoluto, perché nessun problema può essere risolto in modo definitivo: « la fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l'uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli ».1189

569 Una situazione emblematica per l'esercizio del discernimento è costituita dal funzionamento del sistema democratico, oggi concepito da molti in una prospettiva agnostica e relativistica, che induce a ritenere la verità come prodotto determinato dalla maggioranza e condizionato dagli equilibri politici.1190 In un simile contesto, il discernimento è particolarmente impegnativo quando si esercita in ambiti come l'obiettività e la correttezza delle informazioni, la ricerca scientifica o le scelte economiche che incidono sulla vita dei più poveri o in realtà che rimandano a esigenze morali fondamentali e irrinunciabili, quali la sacralità della vita, l'indissolubilità del matrimonio, la promozione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.

In tale situazione sono utili alcuni fondamentali criteri: la distinzione e insieme la connessione tra l'ordine legale e l'ordine morale; la fedeltà alla propria identità e, nello stesso tempo, la disponibilità al dialogo con tutti; la necessità che nel giudizio e nell'impegno sociale il cristiano si riferisca alla triplice e inscindibile fedeltà ai valori naturali, rispettando la legittima autonomia delle realtà temporali, ai valori morali, promuovendo la consapevolezza dell'intrinseca dimensione etica di ogni problema sociale e politico, ai valori soprannaturali, realizzando il suo compito nello spirito del Vangelo di Gesù Cristo.

570 Quando in ambiti e realtà che rimandano a esigenze etiche fondamentali si propongono o si effettuano scelte legislative e politiche contrarie ai principi e ai valori cristiani, il Magistero insegna che « la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l'attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti ».1191

Nella considerazione del caso in cui non sia stato possibile scongiurare l'attuazione di tali programmi politici o impedire o abrogare tali leggi, il Magistero insegna che un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione ad essi fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di tali programmi e di tali leggi e a diminuire gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. A questo riguardo, risulta emblematico il caso di una legge abortista.1192 Il suo voto, in ogni caso, non può essere interpretato come adesione a una legge iniqua, ma solo come un contributo per ridurre le conseguenze negative di un provvedimento legislativo la cui intera responsabilità risale a chi l'ha messo in essere.

Si tenga presente che, di fronte alle molteplici situazioni in cui sono in gioco esigenze morali fondamentali e irrinunciabili, la testimonianza cristiana deve essere ritenuta un dovere inderogabile che può giungere fino al sacrificio della vita, al martirio, in nome della carità e della dignità umana.1193 La storia di venti secoli, anche quella dell'ultimo, è ricca di martiri della verità cristiana, testimoni di fede, di speranza, di carità evangeliche. Il martirio è la testimonianza della propria conformazione personale a Gesù crocifisso, che si esprime sino alla forma suprema del versare il proprio sangue, secondo l'insegnamento evangelico: « se il chicco di grano caduto in terra... muore, produce molto frutto » (Gv 12,24).

571 L'impegno politico dei cattolici è spesso messo in relazione alla « laicità », ossia la distinzione tra la sfera politica e quella religiosa.1194 Tale distinzione « è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto ».1195 La dottrina morale cattolica, tuttavia, esclude nettamente la prospettiva di una laicità intesa come autonomia dalla legge morale: « La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l'atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull'uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una ».1196 Cercare sinceramente la verità, promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale — la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona — è diritto e dovere di tutti i membri di una comunità sociale e politica.

Quando il Magistero della Chiesa interviene su questioni inerenti alla vita sociale e politica, non viene meno alle esigenze di una corretta interpretazione della laicità, perché « non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà d'opinione dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece — come è suo proprio compito — istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto di quanti si dedicano all'impegno nella vita politica, perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune. L'insegnamento sociale della Chiesa non è un'intromissione nel governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria ».1197

572 Il principio di laicità comporta il rispetto di ogni confessione religiosa da parte dello Stato, « che assicura il libero esercizio delle attività di culto, spirituali, culturali e caritative delle comunità dei credenti. In una società pluralista, la laicità è un luogo di comunicazione tra le diverse tradizioni spirituali e la nazione ».1198 Permangono purtroppo ancora, anche nelle società democratiche, espressioni di intollerante laicismo, che osteggiano ogni forma di rilevanza politica e culturale della fede, cercando di squalificare l'impegno sociale e politico dei cristiani, perché si riconoscono nelle verità insegnate dalla Chiesa e obbediscono al dovere morale di essere coerenti con la propria coscienza; si arriva anche e più radicalmente a negare la stessa etica naturale. Questa negazione, che prospetta una condizione di anarchia morale la cui conseguenza ovvia è la sopraffazione del più forte sul debole, non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana. Alla luce di questo stato di cose, « la marginalizzazione del Cristianesimo... non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà ».1199

573 Un ambito particolare di discernimento per i fedeli laici riguarda la scelta degli strumenti politici, ovvero l'adesione a un partito e alle altre espressioni della partecipazione politica. Bisogna operare una scelta coerente con i valori, tenendo conto delle effettive circostanze. In ogni caso, qualsiasi scelta va comunque radicata nella carità e protesa alla ricerca del bene comune.1200 Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un'unica collocazione politica: pretendere che un partito o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera equivoci pericolosi. Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche che nascono dalla fede e dall'appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell'uomo.1201

574 La distinzione, da un lato, tra istanze della fede e opzioni socio-politiche e, da un altro lato, tra scelte dei singoli cristiani e quelle compiute della comunità cristiana in quanto tale, comporta che l'adesione a un partito o schieramento politico sia considerata una decisione a titolo personale, legittima almeno nei limiti di partiti e posizioni non incompatibili con la fede e i valori cristiani.1202 La scelta del partito, dello schieramento, delle persone cui affidare la vita pubblica, pur impegnando la coscienza di ciascuno, non potrà comunque essere una scelta esclusivamente individuale: « Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell'insegnamento sociale della Chiesa ».1203 In ogni caso, « a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente a favore della propria opinione l'autorità della Chiesa »: 1204 i credenti devono cercare piuttosto « di comprendersi a vicenda con un dialogo sincero, conservando sempre la mutua carità e solleciti per prima cosa del bene comune ».1205

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fonte:
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa













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APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
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Non abbiate paura!
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Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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