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Il Principio del BENE COMUNE







Il bene comune:
non è solo
"l'insieme dei beni o servizi d'utilità pubblica o di interesse nazionale (strade, ponti),né le buone finanze, né la sua potenza militare, né il tessuto di leggi giuste, di buone usanze..."
ma anche
"la coscienza civica, le virtù politiche, il senso del diritto, della
libertà, di rettitudine morale, di giustizia, di amicizia..."


J. Maritain, La persona è il bene comune







a) Significato e principali implicazioni




164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione,
per bene comune s'intende
« l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente ».346



Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale.
Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune.
Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.



165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo.347
La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri.
Tale verità le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza.348







b) La responsabilità di tutti per il bene comune


166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali.349
Tali esigenze riguardano anzitutto l'impegno per la pace, l'organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell'ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell'uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa.350
Non va dimenticato l'apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell'intera umanità, anche per le generazioni future.351



167 Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo.352 Il bene comune esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in base a una logica che tende alla più larga assunzione di responsabilità.
Il bene comune è conseguente alle più elevate inclinazioni dell'uomo,353 ma è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.



Tutti hanno anche il diritto di fruire delle condizioni di vita sociale che risultano dalla ricerca del bene comune.
Suona ancora attuale l'insegnamento di Pio XI: « Bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale ».354







c) I compiti della comunità politica


168 La responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d'essere dell'autorità politica.355
Lo Stato, infatti, deve garantire coesione, unitarietà e organizzazione alla società civile di cui è espressione,356 in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti i cittadini.
L'uomo singolo, la famiglia, i corpi intermedi non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo; da ciò deriva la necessità di istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari — materiali, culturali, morali, spirituali — per condurre una vita veramente umana.
Il fine della vita sociale è il bene comune storicamente realizzabile.357



169 Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali.358
La corretta conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una delle funzioni più delicate del potere pubblico. Non va dimenticato, inoltre, che nello Stato democratico, in cui le decisioni sono solitamente assunte a maggioranza dai rappresentanti della volontà popolare, coloro ai quali compete la responsabilità di governo sono tenuti ad interpretare il bene comune del loro Paese non soltanto secondo gli orientamenti della maggioranza, ma nella prospettiva del bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi quelli in posizione di minoranza.



170 Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale dell'intera creazione.
Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a quella storica.359
Questa prospettiva raggiunge la sua pienezza in forza della fede nella Pasqua di Gesù, che offre piena luce circa la realizzazione del vero bene comune dell'umanità. La nostra storia — lo sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana — comincia e culmina in Gesù: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realtà, compresa la società umana, può essere condotta al suo Bene sommo, al suo compimento.
Una visione puramente storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente ovvero della sua più profonda ragion d'essere.







III. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI









a) Origine e significato


171 Tra le molteplici implicazioni del bene comune, immediato rilievo assume il principio della destinazione universale dei beni: « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità ».360
Tale principio si basa sul fatto che « la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29).
Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra.
Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana ».361 La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata.362



172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni.
Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il « primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale » 363 e « principio tipico della dottrina sociale cristiana ».364 Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche. Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è « originario ».365
Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale:
« Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria ».366



173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti.
Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.



174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva.
La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.



175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, « in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento ».367
Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia.







b) Destinazione universale dei beni e proprietà privata


176 Mediante il lavoro, l'uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: « In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro.
È qui l'origine della proprietà individuale ».368 La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni « assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l'autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità ».369
La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti,370 così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di « comune e promiscuo dominio » .371



177 La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: « Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni ».372
Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l'esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l'uomo e dell'intera umanità.373 Tale principio non si oppone al diritto di proprietà,374 ma indica la necessità di regolamentarlo.
La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo.375



178 L'insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato,376 con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune.377
L'uomo « deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri ».378 La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari.
La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell'uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all'attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione.



179 L'attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio della destinazione universale dei beni della terra, rendendone necessaria un'estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico.
La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa « si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali ».379



Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell'uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell'umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i Paesi: « Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti — individui e Nazioni — le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo ».380



180 Se nel processo di sviluppo economico e sociale acquistano notevole rilievo forme di proprietà sconosciute in passato, non si possono dimenticare, tuttavia, quelle tradizionali. La proprietà individuale non è la sola forma legittima di possesso. Riveste particolare importanza anche l'antica forma di proprietà comunitaria che, pur presente anche nei Paesi economicamente avanzati, caratterizza, in modo peculiare, la struttura sociale di numerosi popoli indigeni.
È una forma di proprietà che incide tanto profondamente nella vita economica, culturale e politica di quei popoli da costituire un elemento fondamentale della loro sopravvivenza e del loro benessere.
La difesa e la valorizzazione della proprietà comunitaria non devono escludere, tuttavia, la consapevolezza del fatto che anche questo tipo di proprietà è destinato ad evolversi. Se si agisse in modo da garantire solo la sua conservazione, si correrebbe il rischio di legarla al passato e, in questo modo, di comprometterla.381



Resta sempre cruciale, specie nei Paesi in via di sviluppo o che sono usciti da sistemi collettivistici o di colonizzazione, l'equa distribuzione della terra. Nelle zone rurali, la possibilità di accedere alla terra tramite le opportunità offerte anche dai mercati del lavoro e del credito è condizione necessaria per l'accesso agli altri beni e servizi; oltre a costituire una via efficace per la salvaguardia dell'ambiente, tale possibilità rappresenta un sistema di sicurezza sociale realizzabile anche nei Paesi che hanno una struttura amministrativa debole.382



181 Dalla proprietà deriva al soggetto possessore, sia esso il singolo oppure una comunità, una serie di obiettivi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Dalla proprietà, d'altro canto, può provenire anche una serie di promesse illusorie e tentatrici.
L'uomo o la società che giungono al punto di assolutizzarne il ruolo finiscono per fare l'esperienza della più radicale schiavitù. Nessun possesso, infatti, può essere considerato indifferente per l'influsso che ha tanto sui singoli, quanto sulle istituzioni: il possessore che incautamente idolatra i suoi beni (cfr. Mt 6,24; 19,21-26; Lc 16,13) ne viene più che mai posseduto e asservito.383
Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli.







c) Destinazione universale dei beni e opzione preferenziale per i poveri


182 Il principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata.
A tale proposito va ribadita, in tutta la sua forza, l'opzione preferenziale per i poveri: 384 « È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni.
Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore ».385



183 La miseria umana è il segno evidente della condizione di debolezza dell'uomo e del suo bisogno di salvezza.386 Di essa ha avuto compassione Cristo Salvatore, che si è identificato con i Suoi « fratelli più piccoli » (Mt 25,40.45): « Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. Allorché “ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5), è segno che Cristo è presente ».387

Gesù dice: « I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete » (Mt 26,11; cfr. Mc 14,7; Gv 12,8) non per contrapporre al servizio dei poveri l'attenzione a Lui rivolta. Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall'altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l'illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà.
Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine (cfr. Mt 25,31-46): « Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli ».388



184 L'amore della Chiesa per i poveri si ispira al Vangelo delle beatitudini, alla povertà di Gesù e alla Sua attenzione per i poveri. Tale amore riguarda la povertà materiale e anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa.389
La Chiesa, « fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli.
Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili ».390 Ispirata al precetto evangelico: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10,8), la Chiesa insegna a soccorrere il prossimo nelle sue varie necessità e profonde nella comunità umana innumerevoli opere di misericordia corporali e spirituali: « Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio »,391 anche se la pratica della carità non si riduce all'elemosina, ma implica l'attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà. Sul rapporto tra carità e giustizia ritorna costantemente l'insegnamento della Chiesa: « Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia ».392
I Padri Conciliari raccomandano fortemente che si compia tale dovere « perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia ».393 L'amore per i poveri è certamente « inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico » 394 (cfr. Gc 5,1-6).

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fonte:
COMPENDIO della dottrina sociale della Chiesa



Note:


346 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1905- 1912; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 417-421; Id., Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 272-273; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435.

347 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1912.

348 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 272.

349 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1907.

350 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047.

351 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 421.

352 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 417; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1913.

353 San Tommaso d'Aquino colloca al livello più alto e più specifico delle « inclinationes naturales » dell'uomo il « conoscere la verità su Dio » e il « vivere in società » (Summa theologiae, I-II, q. 94, a. 2, Ed. Leon. 7, 170: « Secundum igitur ordinem inclinationum naturalium est ordo praeceptorum legis naturae... Tertio modo inest homini inclinatio ad bonum secundum naturam rationis, quae est sibi propria; sicut homo habet naturalem inclinationem ad hoc quod veritatem cognoscat de Deo, et ad hoc quod in societate vivat »).

354 Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 197.

355 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1910.

356 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1095-1097; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 17: AAS 71 (1979) 295-300.

357 Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 133- 135; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 200.

358 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1908.

359 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845.

360 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.

361 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 831.

362 Cfr. Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199-200.

363 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 525.

364 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 573.

365 Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199.

366 Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268.

367 Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 90: AAS 79 (1987) 594.

368 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 832.

369 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 71: AAS 58 (1966) 1092- 1093; cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 103-104; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199; Id., Radiomessaggio (24 dicembre 1942): AAS 35 (1943) 17; Id., Radiomessaggio (1º settembre 1944): AAS 36 (1944) 253; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 428-429.

370 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 6: AAS 83 (1991) 800-801.

371 Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.

372 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 613.

373 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2402-2406.

374 Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.

375 Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22-23: AAS 59 (1967) 268-269.

376 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 430-431; Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino- Americano, Puebla (28 gennaio 1979), III/4: AAS 71 (1979) 199-201.

377 Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 191-192. 193-194. 196-197.

378 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.

379 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 832.

380 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837.

381 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092.

382 Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 27-31, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 26-29.

383 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 27-34. 37: AAS 80 (1988) 547-560. 563-564; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845.

384 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), I/8: AAS 71 (1979) 194-195.

385 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 572- 573; cfr. Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 32: AAS 87 (1995) 436-437; Id., Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 51: AAS 87 (1995) 36; Id., Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49-50: AAS 93 (2001) 302-303.

386 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2448.

387 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2443.

388 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033.

389 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2444.

390 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2448.

391 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2447.

392 San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21: PL 77, 87: « Nam cum quaelibet necessaria indigentibus ministramus, sua illis reddimus, non nostra largimur; iustitiae potius debitum soluimus, quam misericordiae opera implemus ».

393 Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 8: AAS 58 (1966) 845; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2446.

394 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2445













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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