b) Gesù uomo del lavoro
259 Nella Sua predicazione Gesù insegna ad apprezzare il lavoro.
Egli stesso, « divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere »,573 nella bottega di Giuseppe (cfr. Mt 13,55; Mc 6,3), al quale stava sottomesso (cfr. Lc 2,51). Gesù condanna il comportamento del servo fannullone, che nasconde sotto terra il talento (cfr. Mt 25,14-30) e loda il servo fidato e prudente che il padrone trova intento a svolgere le mansioni affidategli (cfr. Mt 24,46). Egli descrive la Sua stessa missione come un operare: « Il Padre mio opera sempre e anch'io opero » (Gv 5,17); e i Suoi discepoli come operai nella messe del Signore, che è l'umanità da evangelizzare (cfr. Mt 9,37-38). Per questi operai vale il principio generale secondo cui « l'operaio è degno della sua mercede » (Lc 10,7); essi sono autorizzati a dimorare nelle case in cui sono accolti, a mangiare e a bere quello che viene loro offerto (cfr. ibidem).
260 Nella Sua predicazione Gesù insegna agli uomini a non lasciarsi asservire dal lavoro. Essi devono preoccuparsi prima di tutto della loro anima; guadagnare il mondo intero non è lo scopo della loro vita (cfr. Mc 8,36). I tesori della terra, infatti, si consumano, mentre i tesori del cielo sono imperituri: a questi si deve legare il proprio cuore (cfr. Mt 6,19-21). Il lavoro non deve affannare (cfr. Mt 6,25.31.34): preoccupato e agitato per molte cose, l'uomo rischia di trascurare il Regno di Dio e la Sua giustizia (cfr. Mt 6,33), di cui ha veramente bisogno; tutto il resto, compreso il lavoro, trova il suo posto, il suo senso e il suo valore solo se viene orientato a quest'unica cosa necessaria, che non sarà mai tolta (cfr. Lc 10,40-42).
261 Durante il Suo ministero terreno, Gesù lavora instancabilmente, compiendo opere potenti per liberare l'uomo dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte. Il sabato, che l'Antico Testamento aveva proposto come giorno di liberazione e che, osservato solo formalmente, veniva svuotato del suo autentico significato, è riaffermato da Gesù nel suo originario valore: « Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! » (Mc 2,27). Con le guarigioni, compiute in questo giorno di riposo (cfr. Mt 12,9-14; Mc 3,1-6; Lc 6,6-11; 13,10-17; 14,1-6), Egli vuole dimostrare che il sabato è Suo, perché Egli è veramente il Figlio di Dio, e che è il giorno in cui ci si deve dedicare a Dio e agli altri. Liberare dal male, praticare fraternità e condivisione è conferire al lavoro il suo significato più nobile, quello che permette all'umanità di incamminarsi verso il Sabato eterno, nel quale il riposo diventa la festa cui l'uomo interiormente aspira. Proprio in quanto orienta l'umanità a fare esperienza del sabato di Dio e della Sua vita conviviale, il lavoro inaugura sulla terra la nuova creazione.
262 L'attività umana di arricchimento e di trasformazione dell'universo può e deve far emergere le perfezioni in esso nascoste, che nel Verbo increato hanno il loro principio e il loro modello. Gli scritti paolini e giovannei, infatti, mettono in luce la dimensione trinitaria della creazione e, in particolare, il legame che intercorre tra il Figlio-Verbo, il « Logos », e la creazione (cfr. Gv 1,3; 1 Cor 8,6; Col 1,15-17). Creato in Lui e per mezzo di Lui, redento da Lui, l'universo non è un ammasso casuale, ma un « cosmo »,574 il cui ordine l'uomo deve scoprire, assecondare e portare a compimento: « In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo — quel mondo che, essendovi entrato il peccato, “è stato sottomesso alla caducità” (Rm 8,20; cfr. ibid., 8,19-22) — riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore ».575 In tal modo, ossia mettendo in luce, in progressione crescente, « le imperscrutabili ricchezze di Cristo » (Ef 3,8) nella creazione, il lavoro umano si trasforma in un servizio reso alla grandezza di Dio.
263 Il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell'esistenza umana come partecipazione non solo all'opera della creazione, ma anche della redenzione. Chi sopporta la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, in un certo senso, coopera con il Figlio di Dio alla Sua opera redentrice e si mostra discepolo di Cristo portando la Croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere. In questa prospettiva, il lavoro può essere considerato come un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.576 Così raffigurato il lavoro è espressione della piena umanità dell'uomo, nella sua condizione storica e nella sua orientazione escatologica: la sua azione libera e responsabile ne svela l'intima relazione con il Creatore ed il suo potenziale creativo, mentre ogni giorno combatte lo sfiguramento del peccato, anche guadagnandosi il pane con il sudore della fronte.
c) Il dovere di lavorare
264 La consapevolezza della transitorietà della « scena di questo mondo » (cfr. 1 Cor 7,31) non esonera da alcun impegno storico, tanto meno dal lavoro (cfr. 2 Ts 3,7-15), che è parte integrante della condizione umana, pur non essendo l'unica ragione di vita. Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (cfr. 2 Ts 3,6-12); tutti, piuttosto, sono esortati dall'Apostolo Paolo a farsi « un punto di onore » nel lavorare con le proprie mani così da « non aver bisogno di nessuno » (1 Ts 4,11-12) e a praticare una solidarietà anche materiale, condividendo i frutti del lavoro con « chi si trova in necessità » (Ef 4,28). San Giacomo difende i diritti conculcati dei lavoratori: « Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti » (Gc 5,4). I credenti devono vivere il lavoro con lo stile di Cristo e renderlo occasione di testimonianza cristiana « di fronte agli estranei » (1 Ts 4,12).
265 I Padri della Chiesa non considerano mai il lavoro come « opus servile » — tale era ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea -, ma sempre come « opus humanum », e tendono ad onorarne tutte le espressioni. Mediante il lavoro, l'uomo governa con Dio il mondo, insieme a Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri. L'ozio nuoce all'essere dell'uomo, mentre l'attività giova al suo corpo e al suo spirito.577 Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia (cfr. Mt 25,35-36).578 Ciascun lavoratore, afferma sant'Ambrogio, è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene.579
266 Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l'uomo, partecipe dell'arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; 580 suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune,581 a vantaggio soprattutto dei più bisognosi. Il lavoro umano, finalizzato alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in devota preghiera, in vigile ascesi e in trepida speranza del giorno senza tramonto: « In questa visione superiore, il lavoro, pena ed insieme premio dell'attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: “Ora et labora”! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l'alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l'agire umano e quello provvidenziale di Dio ».582
III. LA DIGNITÀ DEL LAVORO
a) La dimensione soggettiva e oggettiva del lavoro
270 Il lavoro umano ha una duplice dimensione: oggettiva e soggettiva. In senso oggettivo è l'insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l'uomo si serve per produrre, per dominare la terra, secondo le parole del Libro della Genesi. Il lavoro in senso soggettivo è l'agire dell'uomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che appartengono al processo del lavoro e che corrispondono alla sua vocazione personale: « L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come “immagine di Dio” è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro ».586
Il lavoro in senso oggettivo costituisce l'aspetto contingente dell'attività dell'uomo, che varia incessantemente nelle sue modalità con il mutare delle condizioni tecniche, culturali, sociali e politiche. In senso soggettivo si configura, invece, come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l'uomo realizza concretamente né dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale. La distinzione è decisiva sia per comprendere qual è il fondamento ultimo del valore e della dignità del lavoro, sia in ordine al problema di un'organizzazione dei sistemi economici e sociali rispettosa dei diritti dell'uomo.
271 La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell'organizzazione produttiva. Il lavoro, indipendentemente dal suo minore o maggiore valore oggettivo, è espressione essenziale della persona, è « actus personae ». Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l'essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro: « Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona ».587
La dimensione soggettiva del lavoro deve avere la preminenza su quella oggettiva, perché è quella dell'uomo stesso che compie il lavoro, determinandone la qualità e il valore più alto. Se manca questa consapevolezza oppure non si vuole riconoscere questa verità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo: in questo caso, purtroppo frequente e diffuso, l'attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti dell'uomo stesso e, da alleate, si trasformano in nemiche della sua dignità.
272 Il lavoro umano non soltanto procede dalla persona, ma è anche essenzialmente ordinato e finalizzato ad essa. Indipendentemente dal suo contenuto oggettivo, il lavoro deve essere orientato verso il soggetto che lo compie, perché lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro, rimane sempre l'uomo. Anche se non può essere ignorata l'importanza della componente oggettiva del lavoro sotto il profilo della sua qualità, tale componente, tuttavia, va subordinata alla realizzazione dell'uomo, e quindi alla dimensione soggettiva, grazie alla quale è possibile affermare che il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro e che « lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo — fosse pure il lavoro più “di servizio”, più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante — rimane sempre l'uomo stesso ».588
273 Il lavoro umano possiede anche un'intrinseca dimensione sociale. Il lavoro di un uomo, infatti, si intreccia naturalmente con quello di altri uomini: « Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno ».589 Anche i frutti del lavoro offrono occasione di scambi, di relazioni e d'incontro. Il lavoro, pertanto, non si può valutare giustamente se non si tiene conto della sua natura sociale: « giacché se non sussiste un corpo veramente sociale e organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l'esercizio del lavoro, se le varie parti, le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è di più, non si associano, quasi a formare una cosa sola, l'intelligenza, il capitale, il lavoro, l'umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi non si potrà valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale ».590
274 Il lavoro è anche « un obbligo cioè un dovere dell'uomo ».591 L'uomo deve lavorare sia perché il Creatore gliel'ha ordinato, sia per rispondere alle esigenze di mantenimento e sviluppo della sua stessa umanità. Il lavoro si profila come obbligo morale in relazione al prossimo, che è in primo luogo la propria famiglia, ma anche la società, alla quale si appartiene, la Nazione, della quale si è figli o figlie, l'intera famiglia umana, di cui si è membri: siamo eredi del lavoro di generazioni e insieme artefici del futuro di tutti gli uomini che vivranno dopo di noi.
275 Il lavoro conferma la profonda identità dell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio: « Diventando — mediante il suo lavoro — sempre di più padrone della terra, e confermando — ancora mediante il lavoro — il suo dominio sul mondo visibile, l'uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo processo, rimane sulla linea di quell'originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l'uomo è stato creato, come maschio e femmina, “a immagine di Dio” ».592 Ciò qualifica l'attività dell'uomo nell'universo: egli non ne è il padrone, ma il fiduciario, chiamato a riflettere nel proprio operare l'impronta di Colui del quale egli è immagine.
b) I rapporti tra lavoro e capitale
276 Il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale. Oggi, il termine « capitale » ha diverse accezioni: talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell'impresa, talvolta le risorse finanziarie impegnate in un'iniziativa produttiva o anche in operazioni nei mercati borsistici. Si parla anche, in modo non del tutto appropriato, di « capitale umano », per significare le risorse umane, cioè gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto membri di un'organizzazione. Ci si riferisce al « capitale sociale » quando si vuole indicare la capacità di collaborazione di una collettività, frutto dell'investimento in legami fiduciari reciproci. Questa molteplicità di significati offre spunti ulteriori per riflettere su cosa possa significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale.
277 La dottrina sociale ha affrontato i rapporti tra lavoro e capitale, mettendo in evidenza sia la priorità del primo sul secondo, sia la loro complementarità.
Il lavoro ha una priorità intrinseca rispetto al capitale: « Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il “capitale” essendo l'insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l'esperienza storica dell'uomo ».593 Esso « appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa ».594
Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è la stessa logica intrinseca al processo produttivo a dimostrare la necessità della loro reciproca compenetrazione e l'urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali l'antinomia tra lavoro e capitale venga superata.595 In tempi in cui, all'interno di un sistema economico meno complesso, il « capitale » e il « lavoro salariato » identificavano con una certa precisione non solo due fattori produttivi, ma anche e soprattutto due concrete classi sociali, la Chiesa affermava che entrambi sono in sé legittimi: 596 « né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale ».597 Si tratta di una verità che vale anche per il presente, perché « è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l'opera unita dell'uno e dell'altro; ed è affatto ingiusto che l'uno arroghi a sé quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro ».598
278 Nella considerazione dei rapporti tra lavoro e capitale, soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi, si deve ritenere che la « principale risorsa » e il « fattore decisivo » 599 in mano all'uomo è l'uomo stesso, e che « l'integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso ».600 Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre di più che il valore del « capitale umano » trova espressione nelle conoscenze dei lavoratori, nella loro disponibilità a tessere relazioni, nella creatività, nell'imprenditorialità di se stessi, nella capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme e di saper perseguire obiettivi comuni. Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono al soggetto del lavoro più che agli aspetti oggettivi, tecnici, operativi del lavoro stesso. Tutto questo comporta una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale: si può affermare che, contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro dove il soggetto finiva per venire appiattito sull'oggetto, sulla macchina, al giorno d'oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva e importante di quella oggettiva.
279 Il rapporto tra lavoro e capitale presenta spesso i tratti della conflittualità, che assume caratteri nuovi con il mutare dei contesti sociali ed economici. Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato, soprattutto, « dal fatto che i lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai ».601 Attualmente, il conflitto presenta aspetti nuovi e, forse, più preoccupanti: i progressi scientifici e tecnologici e la mondializzazione dei mercati, di per sé fonte di sviluppo e di progresso, espongono i lavoratori al rischio di essere sfruttati dagli ingranaggi dell'economia e dalla ricerca sfrenata di produttività.602
280 Non si deve erroneamente ritenere che il processo di superamento della dipendenza del lavoro dalla materia sia capace di per sé di superare l'alienazione sul lavoro e del lavoro. Il riferimento non è solo alle tante sacche di non lavoro, di lavoro nero, di lavoro minorile, di lavoro sottopagato, di lavoro sfruttato, che ancora persistono, ma anche alle nuove forme, molto più sottili, di sfruttamento dei nuovi lavori, al super-lavoro, al lavoro- carriera che talvolta ruba spazio a dimensioni altrettanto umane e necessarie per la persona, all'eccessiva flessibilità del lavoro che rende precaria e talvolta impossibile la vita familiare, alla modularità lavorativa che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla percezione unitaria della propria esistenza e sulla stabilità delle relazioni familiari. Se l'uomo è alienato quando inverte mezzi e fini, anche nel nuovo contesto di lavoro immateriale, leggero, qualitativo più che quantitativo, si possono dare elementi di alienazione « a seconda che cresca la ... partecipazione [dell'uomo] in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione ».603
c) Il lavoro, titolo di partecipazione
281 Il rapporto tra lavoro e capitale trova espressione anche attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla sua gestione, ai suoi frutti. È questa un'esigenza troppo spesso trascurata, che occorre invece valorizzare al meglio: « ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il “comproprietario” del grande banco di lavoro, al quale s'impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita ».604 La nuova organizzazione del lavoro, in cui il sapere conta di più della sola proprietà dei mezzi di produzione, attesta in maniera concreta che il lavoro, a motivo del suo carattere soggettivo, è titolo di partecipazione: è indispensabile ancorarsi a questa consapevolezza per valutare la giusta posizione del lavoro nel processo produttivo e per trovare modalità di partecipazione consone alla soggettività del lavoro nelle peculiarità delle varie situazioni concrete.605
d) Rapporto tra lavoro e proprietà privata
282 Il Magistero sociale della Chiesa articola il rapporto tra lavoro e capitale anche rispetto all'istituto della proprietà privata, al relativo diritto e all'uso di questa. Il diritto alla proprietà privata è subordinato al principio della destinazione universale dei beni e non deve costituire motivo di impedimento al lavoro e allo sviluppo altrui. La proprietà, che si acquista anzitutto mediante il lavoro, deve servire al lavoro. Ciò vale in modo particolare per il possesso dei mezzi di produzione; ma tale principio concerne anche i beni propri del mondo finanziario, tecnico, intellettuale, personale.
I mezzi di produzione « non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere ».606 Il loro possesso diventa illegittimo quando la proprietà « non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro ».607
283 La proprietà privata e pubblica nonché i vari meccanismi del sistema economico devono essere predisposti per un'economia a servizio dell'uomo, in modo che contribuiscano ad attuare il principio della destinazione universale dei beni. In tale prospettiva diventa rilevante la questione relativa alla proprietà e all'uso delle nuove tecnologie e conoscenze, che costituiscono, nel nostro tempo, un'altra forma particolare di proprietà, di importanza non inferiore a quella della terra e del capitale.608 Tali risorse, come tutti gli altri beni, hanno una destinazione universale; anch'esse vanno inserite in un contesto di norme giuridiche e di regole sociali che ne garantiscano un uso ispirato a criteri di giustizia, di equità e di rispetto dei diritti dell'uomo. I nuovi saperi e le tecnologie, grazie alle loro enormi potenzialità, possono dare un contributo decisivo alla promozione del progresso sociale, ma rischiano di divenire fonte di disoccupazione e di allargare il distacco tra zone sviluppate e zone di sottosviluppo, se rimangono accentrati nei Paesi più ricchi o nelle mani di ristretti gruppi di potere.
e) Il riposo festivo
284 Il riposo festivo è un diritto.609 Dio « cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro » (Gen 2,2): anche gli uomini, creati a Sua immagine, devono godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa.610 A ciò contribuisce l'istituzione del giorno del Signore.611 I credenti, durante la domenica e negli altri giorni festivi di precetto, devono astenersi da « lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo ».612 Necessità familiari o esigenze di utilità sociale possono legittimamente esentare dal riposo domenicale, ma non devono creare abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e la salute.
285 La domenica è un giorno da santificare con un'operosa carità, riservando attenzioni alla famiglia e ai parenti, come anche ai malati, agli infermi, agli anziani; né si devono dimenticare quei « fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non possono riposarsi a causa della povertà e della miseria »; 613 inoltre è un tempo propizio per la riflessione, il silenzio, lo studio, che favoriscano la crescita della vita interiore e cristiana. I credenti dovranno distinguersi, anche in questo giorno, per la loro moderazione, evitando tutti gli eccessi e le violenze che spesso caratterizzano i divertimenti di massa.614 Il giorno del Signore deve sempre essere vissuto come il giorno della liberazione, che fa partecipare « all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli » (Eb 12,22-23) e anticipa la celebrazione della Pasqua definitiva nella gloria del cielo.615
286 Le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti.616 I cristiani si devono adoperare, nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, affinché le leggi riconoscano le domeniche e le altre solennità liturgiche come giorni festivi: « Spetta a loro offrire a tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana ».617 Ogni cristiano dovrà « evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore ».618
IV. IL DIRITTO AL LAVORO
a) Il lavoro è necessario
287 Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l'uomo: 619 un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solo perché esso è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità.620 Il lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia,621 per avere diritto alla proprietà,622 per contribuire al bene comune della famiglia umana.623 La considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa ad additare la disoccupazione come una « vera calamità sociale » ,624 soprattutto in relazione alle giovani generazioni.
288 Il lavoro è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La « piena occupazione » è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, « non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale ».625 Un ruolo importante e, dunque, una responsabilità specifica e grave appartengono, in questo ambito, al « datore di lavoro indiretto »,626 ossia a quei soggetti — persone o istituzioni di vario tipo — che sono in grado di orientare, a livello nazionale o internazionale, la politica del lavoro e dell'economia.
289 La capacità progettuale di una società orientata verso il bene comune e proiettata verso il futuro si misura anche e soprattutto sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire. L'alto tasso di disoccupazione, la presenza di sistemi di istruzione obsoleti e di perduranti difficoltà nell'accesso alla formazione e al mercato del lavoro costituiscono, per molti giovani soprattutto, un forte ostacolo sulla strada della realizzazione umana e professionale. Chi è disoccupato o sottoccupato, infatti, subisce le conseguenze profondamente negative che tale condizione determina nella personalità e rischia di essere posto ai margini della società, di diventare una vittima dell'esclusione sociale.627 È questo un dramma che colpisce, in genere, oltre ai giovani, le donne, i lavoratori meno specializzati, i disabili, gli immigrati, gli ex-carcerati, gli analfabeti, tutti i soggetti che trovano maggiori difficoltà nella ricerca di una collocazione nel mondo del lavoro.
290 Il mantenimento dell'occupazione dipende sempre di più dalle capacità professionali.628 Il sistema di istruzione e di educazione non deve trascurare la formazione umana e tecnica, necessaria per svolgere con profitto le mansioni richieste. La sempre più diffusa necessità di cambiare varie volte impiego, nell'arco della vita, impone al sistema educativo di favorire la disponibilità delle persone ad un aggiornamento e riqualificazione permanenti. I giovani devono apprendere ad agire autonomamente, diventare capaci di assumersi responsabilmente il compito di affrontare con competenze adeguate i rischi legati ad un contesto economico mobile e spesso imprevedibile nei suoi scenari evolutivi.629 È altrettanto indispensabile l'offerta di opportune occasioni formative agli adulti in cerca di riqualificazione e ai disoccupati. Più in generale, il percorso lavorativo delle persone deve trovare nuove forme concrete di sostegno, a cominciare proprio dal sistema formativo, così che sia meno difficile attraversare fasi di cambiamento, di incertezza, di precarietà.
b) Il ruolo dello Stato e della società civile nella promozione del diritto al lavoro
291 I problemi dell'occupazione chiamano in causa le responsabilità dello Stato, al quale compete il dovere di promuovere politiche attive del lavoro, cioè tali da favorire la creazione di opportunità lavorative all'interno del territorio nazionale, incentivando a questo scopo il mondo produttivo. Il dovere dello Stato non consiste tanto nell'assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini, irreggimentando l'intera vita economica e mortificando la libera iniziativa dei singoli, quanto piuttosto nell'« assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi ».630
292 Di fronte alle dimensioni planetarie rapidamente assunte dalle relazioni economico-finanziarie e dal mercato del lavoro, si deve promuovere un'efficace collaborazione internazionale tra gli Stati, mediante trattati, accordi e piani di azione comuni che salvaguardino il diritto al lavoro anche nelle fasi più critiche del ciclo economico, a livello nazionale ed internazionale. Bisogna avere consapevolezza del fatto che il lavoro umano è un diritto da cui dipendono direttamente la promozione della giustizia sociale e della pace civile. Importanti compiti in questa direzione spettano alle Organizzazioni internazionali e a quelle sindacali: collegandosi nelle forme più opportune, esse si devono impegnare, prima di tutto, a tessere « una trama sempre più fitta di disposizioni giuridiche che proteggono il lavoro degli uomini, delle donne, dei giovani, e gli assicurano una conveniente retribuzione ».631
293 Per la promozione del diritto al lavoro è importante, oggi come ai tempi della « Rerum novarum », che vi sia un « libero processo di auto-organizzazione della società ».632 Significative testimonianze ed esempi di auto- organizzazione si possono rintracciare nelle numerose iniziative, imprenditoriali e sociali, caratterizzate da forme di partecipazione, di cooperazione e di autogestione, che rivelano la fusione di energie solidali. Esse si offrono al mercato come un variegato settore di attività lavorative che si distinguono per un'attenzione particolare nei confronti della componente relazionale dei beni prodotti e dei servizi erogati in molteplici ambiti: istruzione, tutela della salute, servizi sociali di base, cultura. Le iniziative del cosiddetto « terzo settore » costituiscono un'opportunità sempre più rilevante di sviluppo del lavoro e dell'economia.
c) La famiglia e il diritto al lavoro
294 Il lavoro è « il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo »: 633 esso assicura i mezzi di sussistenza e garantisce il processo educativo dei figli.634 Famiglia e lavoro, così strettamente interdipendenti nell'esperienza della grande maggioranza delle persone, meritano finalmente una considerazione più adeguata alla realtà, un'attenzione che li comprenda insieme, senza i limiti di una concezione privatistica della famiglia ed economicistica del lavoro. A questo riguardo, è necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma favoriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. La vita di famiglia e il lavoro, infatti, si condizionano reciprocamente in vario modo. Il pendolarismo, il doppio lavoro e la fatica fisica e psicologica riducono il tempo dedicato alla vita familiare; 635 le situazioni di disoccupazione hanno ripercussioni materiali e spirituali sulle famiglie, così come le tensioni e le crisi familiari influiscono negativamente sugli atteggiamenti e sul rendimento in campo lavorativo.
d) Le donne e il diritto al lavoro
295 Il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale, perciò va garantita la presenza delle donne anche in ambito lavorativo. Il primo indispensabile passo in tale direzione è la concreta possibilità di accesso alla formazione professionale. Il riconoscimento e la tutela dei diritti delle donne nel contesto lavorativo dipendono, in generale, dall'organizzazione del lavoro, che deve tener conto della dignità e della vocazione della donna, la cui « vera promozione... esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l'abbandono della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile »636. È una questione su cui si misurano la qualità della società e l'effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne.
La persistenza di molte forme di discriminazione offensive della dignità e vocazione della donna nella sfera del lavoro è dovuta ad una lunga serie di condizionamenti penalizzanti per la donna, che è stata ed è ancora « travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù ».637 Queste difficoltà, purtroppo, non sono superate, come dimostrano ovunque le diverse situazioni che avviliscono le donne, assoggettandole anche a forme di vero e proprio sfruttamento. L'urgenza di un effettivo riconoscimento dei diritti delle donne nel lavoro si avverte specialmente sotto l'aspetto retributivo, assicurativo e previdenziale.638
e) Lavoro minorile
296 Il lavoro minorile, nelle sue forme intollerabili, costituisce un tipo di violenza meno appariscente di altri, ma non per questo meno terribile.639 Una violenza che, al di là di tutte le implicazioni politiche, economiche e giuridiche, resta essenzialmente un problema morale. Questo l'ammonimento di Leone XIII: « Quanto ai fanciulli si badi a non ammetterli nelle officine prima che l'età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all'erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli ».640 La piaga del lavoro minorile, ad oltre cento anni di distanza, non è stata ancora debellata.
Pur nella consapevolezza che, almeno per ora, in certi Paesi il contributo portato dal lavoro dei bambini al bilancio familiare e alle economie nazionali è irrinunciabile e che, comunque, alcune forme di lavoro, svolte a tempo parziale, possono essere fruttuose per i bambini stessi, la dottrina sociale denuncia l'aumento dello « sfruttamento lavorativo dei minori in condizioni di vera schiavitù ».641 Tale sfruttamento costituisce una grave violazione della dignità umana di cui ogni individuo, « per piccolo o apparentemente insignificante che sia in termini di utilità »,642 è portatore.
f) L'emigrazione e il lavoro
297 L'immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo. Nel mondo attuale, in cui si aggrava lo squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri e in cui lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita, provenienti dalle zone meno favorite della terra: il loro arrivo nei Paesi sviluppati è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere raggiunti grazie a decenni di crescita economica. Gli immigrati, tuttavia, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta, in settori e in territori nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo.
298 Le istituzioni dei Paesi ospiti devono vigilare accuratamente affinché non si diffonda la tentazione di sfruttare la manodopera straniera, privandola dei diritti garantiti ai lavoratori nazionali, che devono essere assicurati a tutti senza discriminazioni. La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio643 è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana. Gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale.644 In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare.645 Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine.646
g) Il mondo agricolo e il diritto al lavoro
299 Una particolare attenzione merita il lavoro agricolo, per il ruolo sociale, culturale ed economico che esso mantiene nei sistemi economici di molti Paesi, per i numerosi problemi che deve affrontare nel contesto di un'economia sempre più globalizzata, per la sua importanza crescente nella salvaguardia dell'ambiente naturale: « sono dunque necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all'agricoltura — ed agli uomini dei campi — il giusto valore come base di una sana economia, nell'insieme dello sviluppo della comunità sociale ».647
I profondi e radicali mutamenti in atto a livello sociale e culturale, anche nell'agricoltura e nel più vasto mondo rurale, ripropongono con urgenza un approfondimento sul significato del lavoro agricolo nelle sue molteplici dimensioni. Si tratta di una sfida di notevole importanza, che va affrontata con politiche agricole e ambientali capaci di superare una certa concezione residuale e assistenziale e di elaborare nuove prospettive per un'agricoltura moderna, in grado di svolgere un ruolo significativo nella vita sociale ed economica.
300 In alcuni Paesi è indispensabile una ridistribuzione della terra, nell'ambito di efficaci politiche di riforma agraria, al fine di superare l'impedimento che il latifondo improduttivo, condannato dalla dottrina sociale della Chiesa,648 frappone ad un autentico sviluppo economico: « I Paesi in via di sviluppo possono contrastare efficacemente l'attuale processo di concentrazione della proprietà della terra se affrontano alcune situazioni che si connotano come veri e propri nodi strutturali. Tali sono le carenze e i ritardi a livello legislativo in tema di riconoscimento del titolo di proprietà della terra e in relazione al mercato del credito; il disinteresse per la ricerca e la formazione in agricoltura; la negligenza a proposito di servizi sociali e di infrastrutture nelle aree rurali ».649 La riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale, dato che la sua mancata attuazione ostacola in questi Paesi gli effetti benefici derivanti dall'apertura dei mercati e, in genere, da quelle proficue occasioni di crescita che la globalizzazione in atto può offrire.650
V. DIRITTI DEI LAVORATORI
a) Dignità dei lavoratori e rispetto dei loro diritti
301 I diritti dei lavoratori, come tutti gli altri diritti, si basano sulla natura della persona umana e sulla sua trascendente dignità. Il Magistero sociale della Chiesa ha ritenuto di elencarne alcuni, auspicandone il riconoscimento negli ordinamenti giuridici: il diritto ad una giusta remunerazione; 651 il diritto al riposo; 652 il diritto « ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale »; 653 il diritto che venga salvaguardata la propria personalità sul luogo di lavoro, « senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità »; 654 il diritto a convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie; 655 il diritto alla pensione nonché all'assicurazione per la vecchiaia, la malattia e in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa; 656 il diritto a provvedimenti sociali collegati alla maternità; 657 il diritto di riunirsi e di associarsi.658 Tali diritti vengono spesso offesi, come confermano i tristi fenomeni del lavoro sottopagato, privo di tutela o non rappresentato in maniera adeguata. Spesso accade che le condizioni di lavoro per uomini, donne e bambini, specie nei Paesi in via di sviluppo, siano talmente inumane da offendere la loro dignità e nuocere alla loro salute.
b) Il diritto all'equa remunerazione e distribuzione del reddito
302 La remunerazione è lo strumento più importante per realizzare la giustizia nei rapporti di lavoro.659 Il « giusto salario è il frutto legittimo del lavoro »; 660 commette grave ingiustizia chi lo rifiuta o non lo dà a tempo debito e in equa proporzione al lavoro svolto (cfr. Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4). Il salario è lo strumento che permette al lavoratore di accedere ai beni della terra: « il lavoro va ricompensato in misura tale da garantire all'uomo la possibilità di disporre dignitosamente la vita materiale, sociale, culturale e spirituale sua e dei suoi, in relazione ai compiti e al rendimento di ognuno, alle condizioni dell'azienda e al bene comune ».661 Il semplice accordo tra lavoratore e datore di lavoro circa l'entità della remunerazione non basta per qualificare « giusta » la remunerazione concordata, perché essa « non deve essere inferiore al sostentamento »662 del lavoratore: la giustizia naturale è anteriore e superiore alla libertà del contratto.
303 Il benessere economico di un Paese non si misura esclusivamente sulla quantità di beni prodotti, ma anche tenendo conto del modo in cui essi vengono prodotti e del grado di equità nella distribuzione del reddito, che a tutti dovrebbe consentire di avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona. Un'equa distribuzione del reddito va perseguita sulla base di criteri non solo di giustizia commutativa, ma anche di giustizia sociale, considerando cioè, oltre al valore oggettivo delle prestazioni lavorative, la dignità umana dei soggetti che le compiono. Un benessere economico autentico si persegue anche attraverso adeguate politiche sociali di ridistribuzione del reddito che, tenendo conto delle condizioni generali, considerino opportunamente i meriti e i bisogni di ogni cittadino.
c) Il diritto di sciopero
304 La dottrina sociale riconosce la legittimità dello sciopero « quando appare lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato »,663 dopo che si sono rivelate inefficaci tutte le altre modalità di superamento dei conflitti.664 Lo sciopero, una delle conquiste più travagliate dell'associazionismo sindacale, può essere definito come il rifiuto collettivo e concertato, da parte dei lavoratori, di svolgere le loro prestazioni, allo scopo di ottenere, per mezzo della pressione così esercitata sui datori di lavoro, sullo Stato e sull'opinione pubblica, migliori condizioni di lavoro e della loro situazione sociale. Anche lo sciopero, per quanto si profili « come... una specie di ultimatum »,665 deve essere sempre un metodo pacifico di rivendicazione e di lotta per i propri diritti; esso diventa « moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune ».666
VI. SOLIDARIETÀ TRA I LAVORATORI
a) L'importanza dei sindacati
305 Il Magistero riconosce il ruolo fondamentale svolto dai sindacati dei lavoratori, la cui ragion d'essere consiste nel diritto dei lavoratori a formare associazioni o unioni per difendere gli interessi vitali degli uomini impiegati nei vari lavori. I sindacati « sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione ».667 Le organizzazioni sindacali, perseguendo il loro fine specifico al servizio del bene comune, sono un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà e quindi un elemento indispensabile della vita sociale. Il riconoscimento dei diritti del lavoro costituisce da sempre un problema di difficile soluzione, perché si attua all'interno di processi storici e istituzionali complessi, e ancora oggi si può dire incompiuto. Ciò rende più che mai attuale e necessario l'esercizio di un'autentica solidarietà tra i lavoratori.
306 La dottrina sociale insegna che i rapporti all'interno del mondo del lavoro vanno improntati alla collaborazione: l'odio e la lotta per eliminare l'altro costituiscono metodi del tutto inaccettabili, anche perché, in ogni sistema sociale, sono indispensabili al processo di produzione tanto il lavoro quanto il capitale. Alla luce di questa concezione, la dottrina sociale « non ritiene che i sindacati costituiscano solamente il riflesso della struttura “di classe” della società e che siano l'esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la vita sociale ».668 I sindacati sono propriamente i promotori della lotta per la giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni: « Questa “lotta” deve essere vista come un normale adoperarsi “per” il giusto bene; [...] non è una lotta “contro” gli altri ».669 Il sindacato, essendo anzitutto strumento di solidarietà e di giustizia, non può abusare degli strumenti di lotta; in ragione della sua vocazione, deve vincere le tentazioni del corporativismo, sapersi autoregolamentare e valutare le conseguenze delle proprie scelte rispetto all'orizzonte del bene comune.670
307 Al sindacato, oltre alle funzioni difensive e rivendicative, competono sia una rappresentanza finalizzata ad « organizzare nel giusto ordine la vita economica »,671 sia l'educazione della coscienza sociale dei lavoratori, affinché essi si sentano parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della costruzione del bene comune universale. Il sindacato e le altre forme di associazionismo dei lavoratori devono assumersi una funzione di collaborazione con gli altri soggetti sociali ed interessarsi alla gestione della cosa pubblica. Le organizzazioni sindacali hanno il dovere di influenzare il potere politico, così da sensibilizzarlo debitamente ai problemi del lavoro e da impegnarlo a favorire la realizzazione dei diritti dei lavoratori. I sindacati, tuttavia, non hanno il carattere di « partiti politici » che lottano per il potere, e non devono neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere con essi dei legami troppo stretti: « in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi ».672
b) Nuove forme di solidarietà
308 Il contesto socio-economico odierno, caratterizzato da processi di globalizzazione economico-finanziaria sempre più rapidi, spinge i sindacati a rinnovarsi. Oggi i sindacati sono chiamati ad agire in forme nuove,673 ampliando il raggio della propria azione di solidarietà in modo che siano tutelati, oltre alle categorie lavorative tradizionali, i lavoratori con contratti atipici o a tempo determinato; i lavoratori il cui impiego è messo in pericolo dalle fusioni di imprese che sempre più frequentemente avvengono, anche a livello internazionale; coloro che non hanno un'occupazione, gli immigrati, i lavoratori stagionali, coloro che per mancanza di aggiornamento professionale sono stati espulsi dal mercato del lavoro e non vi possono rientrare senza adeguati corsi di riqualificazione.
Di fronte ai cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro, la solidarietà potrà essere recuperata e forse anche meglio fondata rispetto al passato se si opera per una riscoperta del valore soggettivo del lavoro: « bisogna continuare a interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le condizioni in cui egli vive ». Per questo, « sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro ».674
309 Perseguendo « nuove forme di solidarietà »,675 le associazioni dei lavoratori devono orientarsi verso l'assunzione di maggiori responsabilità, non soltanto in relazione ai tradizionali meccanismi della ridistribuzione, ma anche nei confronti della produzione della ricchezza e della creazione di condizioni sociali, politiche e culturali che consentano a tutti coloro che possono e desiderano lavorare di esercitare il loro diritto al lavoro, nel pieno rispetto della loro dignità di lavoratori. Il superamento graduale del modello organizzativo basato sul lavoro salariato nella grande impresa rende opportuno, inoltre, un aggiornamento delle norme e dei sistemi di sicurezza sociale, mediante i quali i lavoratori sono stati finora tutelati, fatti salvi i loro fondamentali diritti.
VII. LE « RES NOVAE » DEL MONDO DEL LAVORO
a) Una fase di transizione epocale
310 Uno degli stimoli più significativi all'attuale cambiamento dell'organizzazione del lavoro è dato dal fenomeno della globalizzazione, che consente di sperimentare nuove forme di produzione, con la dislocazione degli impianti in aree diverse da quelle in cui vengono assunte le decisioni strategiche e lontane dai mercati di consumo. Due sono i fattori che danno impulso a questo fenomeno: la straordinaria velocità di comunicazione senza limiti di spazio e di tempo e la relativa facilità di trasportare merci e persone da una parte all'altra del globo. Ciò comporta una conseguenza fondamentale sui processi produttivi: la proprietà è sempre più lontana, spesso indifferente agli effetti sociali delle scelte che compie. D'altro canto, se è vero che la globalizzazione, a priori, non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall'uso che l'uomo ne fa,676 si deve affermare che è necessaria una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell'equità.
311 Una delle caratteristiche più rilevanti della nuova organizzazione del lavoro è la frammentazione fisica del ciclo produttivo, promossa per conseguire una maggiore efficienza e maggiori profitti. In questa prospettiva, le tradizionali coordinate spazio-tempo entro le quali si configurava il ciclo produttivo subiscono una trasformazione senza precedenti, che determina un cambiamento nella struttura stessa del lavoro. Tutto ciò ha conseguenze rilevanti nella vita dei singoli e delle comunità, sottoposti a cambiamenti radicali sia sul piano delle condizioni materiali, sia su quello culturale e dei valori. Questo fenomeno sta coinvolgendo, a livello globale e locale, milioni di persone, indipendentemente dalla professione che svolgono, dalla loro condizione sociale, dalla preparazione culturale. La riorganizzazione del tempo, la sua regolarizzazione e i cambiamenti in atto nell'uso dello spazio — paragonabili, per la loro entità, alla prima rivoluzione industriale, in quanto coinvolgono tutti i settori produttivi, in tutti i continenti, a prescindere dal loro grado di sviluppo — sono da considerarsi, pertanto, una sfida decisiva, anche a livello etico e culturale, nel campo della definizione di un sistema rinnovato di tutela del lavoro.
312 La globalizzazione dell'economia, con la liberalizzazione dei mercati, l'accentuarsi della concorrenza, l'accrescersi di imprese specializzate nel fornire prodotti e servizi, richiede maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e nell'organizzazione e gestione dei processi produttivi. Nella valutazione di questa delicata materia, sembra opportuno riservare una maggiore attenzione morale, culturale e progettuale nell'orientare l'agire sociale e politico sulle tematiche connesse all'identità e ai contenuti del nuovo lavoro, in un mercato e in una economia essi stessi nuovi. I mutamenti del mercato del lavoro sono spesso, infatti, un effetto del cambiamento del lavoro stesso e non una sua causa.
313 Il lavoro, soprattutto all'interno dei sistemi economici dei Paesi più sviluppati, attraversa una fase che segna il passaggio da un'economia di tipo industriale ad un'economia essenzialmente centrata sui servizi e sull'innovazione tecnologica. Accade cioè che i servizi e le attività caratterizzate da un forte contenuto informativo crescono in modo più rapido rispetto a quelle dei tradizionali settori primario e secondario, con conseguenze di ampia portata nell'organizzazione della produzione e degli scambi, nel contenuto e nella forma delle prestazioni lavorative e nei sistemi di protezione sociale.
Grazie alle innovazioni tecnologiche, il mondo del lavoro si arricchisce di professioni nuove, mentre altre scompaiono. Nell'attuale fase di transizione, infatti, si assiste ad un continuo passaggio di occupati dall'industria ai servizi. Mentre perde terreno il modello economico e sociale legato alla grande fabbrica e al lavoro di una classe operaia omogenea, migliorano le prospettive occupazionali nel terziario e aumentano, in particolare, le attività lavorative nel comparto dei servizi alla persona, delle prestazioni part time, interinali e « atipiche », ossia forme di lavoro che non sono inquadrabili né come lavoro dipendente né come lavoro autonomo.
314 La transizione in atto segna il passaggio dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, inteso come posto fisso, a un percorso lavorativo caratterizzato da una pluralità di attività lavorative; da un mondo del lavoro compatto, definito e riconosciuto, a un universo di lavori, variegato, fluido, ricco di promesse, ma anche carico di interrogativi preoccupanti, specie di fronte alla crescente incertezza circa le prospettive occupazionali, a fenomeni persistenti di disoccupazione strutturale, all'inadeguatezza degli attuali sistemi di sicurezza sociale. Le esigenze della competizione, della innovazione tecnologica e della complessità dei flussi finanziari vanno armonizzate con la difesa del lavoratore e dei suoi diritti.
L'insicurezza e la precarietà non riguardano soltanto la condizione lavorativa degli uomini che vivono nei Paesi più sviluppati, ma investono anche, e soprattutto, le realtà economicamente meno avanzate del pianeta, i Paesi in via di sviluppo e i Paesi con economie in transizione. Questi ultimi, oltre ai complessi problemi connessi al cambiamento dei modelli economici e produttivi, devono affrontare quotidianamente le difficili esigenze che provengono dalla globalizzazione in atto. La situazione risulta particolarmente drammatica per il mondo del lavoro, investito da vasti e radicali cambiamenti culturali e strutturali, in contesti spesso privi di supporti legislativi, formativi e di assistenza sociale.
315 Il decentramento produttivo, che assegna alle aziende minori molteplici compiti, in precedenza concentrati nelle grandi unità produttive, fa acquistare vigore e imprime nuovo slancio alle piccole e medie imprese. Emergono così, accanto all'artigianato tradizionale, nuove imprese caratterizzate da piccole unità produttive operanti in settori di produzione moderni oppure in attività decentrate dalle aziende maggiori. Molte attività che ieri richiedevano lavoro dipendente, oggi sono realizzate in forme nuove, che favoriscono il lavoro indipendente e si caratterizzano per una maggiore componente di rischio e di responsabilità.
Il lavoro nelle piccole e medie imprese, il lavoro artigianale e il lavoro indipendente possono costituire un'occasione per rendere più umano il vissuto lavorativo, sia per la possibilità di stabilire positive relazioni interpersonali in comunità di piccole dimensioni, sia per le opportunità offerte da una maggiore iniziativa e imprenditorialità; ma non sono pochi, in questi settori, i casi di trattamenti ingiusti, di lavoro mal pagato e soprattutto insicuro.
316 Nei Paesi in via di sviluppo, inoltre, si è diffuso, in questi ultimi anni, il fenomeno dell'espansione di attività economiche « informali » o « sommerse », che rappresenta un segnale di crescita economica promettente, ma solleva problemi etici e giuridici. Il significativo aumento dei posti di lavoro suscitato da tali attività è dovuto, infatti, all'assenza di specializzazione di gran parte dei lavoratori locali e allo sviluppo disordinato dei settori economici formali. Un elevato numero di persone è così costretto a lavorare in condizioni di grave disagio e in un quadro privo delle regole che tutelano la dignità del lavoratore. I livelli di produttività, reddito e tenore di vita sono estremamente bassi e spesso si rivelano insufficienti a garantire ai lavoratori e alle loro famiglie il raggiungimento del livello di sussistenza.
b) Dottrina sociale e « res novae »
317 Di fronte alle imponenti « res novae » del mondo del lavoro, la dottrina sociale della Chiesa raccomanda, prima di tutto, di evitare l'errore di ritenere che i mutamenti in atto avvengano in modo deterministico. Il fattore decisivo e « l'arbitro » di questa complessa fase di cambiamento è ancora una volta l'uomo, che deve restare il vero protagonista del suo lavoro. Egli può e deve farsi carico in modo creativo e responsabile delle attuali innovazioni e riorganizzazioni, così che esse giovino alla crescita della persona, della famiglia, delle società e dell'intera famiglia umana.677 Illuminante è per tutti il richiamo alla dimensione soggettiva del lavoro, alla quale la dottrina sociale della Chiesa insegna a dare la dovuta priorità, perché il lavoro umano « proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra ».678
318 Le interpretazioni di tipo meccanicistico ed economicistico dell'attività produttiva, sebbene prevalenti e comunque influenti, risultano superate dalla stessa analisi scientifica dei problemi connessi con il lavoro. Tali concezioni si rivelano oggi più di ieri del tutto inadeguate a interpretare i fatti, che dimostrano ogni giorno di più la valenza del lavoro in quanto attività libera e creativa dell'uomo. Anche dai riscontri concreti deve derivare la spinta a superare senza indugio orizzonti teorici e criteri operativi ristretti e insufficienti rispetto alle dinamiche in atto, intrinsecamente incapaci di individuare i concreti e pressanti bisogni umani nella loro vasta gamma, che si estende ben oltre le categorie soltanto economiche. Sa bene la Chiesa, e da sempre insegna, che l'uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, ha bisogni certo non limitati soltanto all'« avere »,679 perché la sua natura e la sua vocazione sono in relazione inscindibile col Trascendente. La persona umana affronta l'avventura della trasformazione delle cose mediante il suo lavoro per soddisfare necessità e bisogni innanzi tutto materiali, ma lo fa seguendo un impulso che la spinge sempre oltre i risultati conseguiti, alla ricerca di ciò che può corrispondere più profondamente alle sue ineliminabili esigenze interiori.
319 Cambiano le forme storiche in cui si esprime il lavoro umano, ma non devono cambiare le sue esigenze permanenti, che si riassumono nel rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo che lavora. Di fronte al rischio di vedere negati questi diritti, devono essere immaginate e costruite nuove forme di solidarietà, tenendo conto dell'interdipendenza che lega tra loro gli uomini del lavoro. Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l'impegno dell'intelligenza e della volontà per tutelare la dignità del lavoro, rafforzando, ai diversi livelli, le istituzioni interessate. Questa prospettiva consente di orientare al meglio le attuali trasformazioni nella direzione, tanto necessaria, della complementarità tra la dimensione economica locale e quella globale; tra economia « vecchia » e « nuova »; tra l'innovazione tecnologica e l'esigenza di salvaguardare il lavoro umano; tra la crescita economica e la compatibilità ambientale dello sviluppo.
320 Alla soluzione delle problematiche vaste e complesse del lavoro, che in alcune aree assumono dimensioni drammatiche, gli scienziati e gli uomini di cultura sono chiamati ad offrire il loro contributo specifico, tanto importante per la scelta di soluzioni giuste. È una responsabilità che richiede loro di evidenziare le occasioni e i rischi che nei cambiamenti si profilano e soprattutto di suggerire linee di azione per guidare il cambiamento nel senso più favorevole allo sviluppo dell'intera famiglia umana. A loro spetta il grave compito di leggere e di interpretare i fenomeni sociali con intelligenza ed amore della verità, senza preoccupazioni dettate da interessi di gruppo o personali. Il loro contributo, infatti, proprio perché di natura teorica, diventa un riferimento essenziale per l'agire concreto delle politiche economiche.680
321 Gli scenari attuali di profonda trasformazione del lavoro umano rendono ancor più urgente uno sviluppo autenticamente globale e solidale, in grado di coinvolgere tutte le zone del mondo, comprese quelle meno favorite. Per queste ultime, l'avvio di un processo di sviluppo solidale di vasta portata non solo rappresenta una concreta possibilità per creare nuovi posti di lavoro, ma si configura anche come una vera e propria condizione di sopravvivenza per interi popoli: « Occorre globalizzare la solidarietà ».681
Gli squilibri economici e sociali esistenti nel mondo del lavoro vanno affrontati ristabilendo la giusta gerarchia dei valori e ponendo al primo posto la dignità della persona che lavora: « Mai le nuove realtà, che investono con forza il processo produttivo, quali la globalizzazione della finanza, dell'economia, dei commerci e del lavoro, devono violare la dignità e la centralità della persona umana né la libertà e la democrazia dei popoli. La solidarietà, la partecipazione e la possibilità di governare questi radicali cambiamenti costituiscono, se non la soluzione, certamente la necessaria garanzia etica perché le persone ed i popoli diventino non strumenti, ma protagonisti del loro futuro. Tutto ciò può essere realizzato e, poiché è possibile, diventa doveroso ».682
322 Risulta sempre più necessaria un'attenta considerazione della nuova situazione del lavoro nell'attuale contesto della globalizzazione, in una prospettiva che valorizzi la naturale propensione degli uomini a stabilire relazioni. A questo proposito si deve affermare che l'universalità è una dimensione dell'uomo, non delle cose. La tecnica potrà essere la causa strumentale della globalizzazione, ma è l'universalità della famiglia umana la sua causa ultima. Anche il lavoro, pertanto, ha una sua dimensione universale, in quanto fondato sulla relazionalità umana. Le tecniche, specialmente elettroniche, hanno permesso di dilatare tale aspetto relazionale del lavoro a tutto il pianeta, imprimendo alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Il fondamento ultimo di questo dinamismo è l'uomo che lavora, è sempre l'elemento soggettivo e non quello oggettivo. Anche il lavoro globalizzato trae origine, pertanto, dal fondamento antropologico dell'intrinseca dimensione relazionale del lavoro. Gli aspetti negativi della globalizzazione del lavoro non devono mortificare le possibilità che si sono aperte per tutti di dare espressione ad un umanesimo del lavoro a livello planetario, ad una solidarietà del mondo del lavoro a questo livello, affinché lavorando in un simile contesto, dilatato ed interconnesso, l'uomo capisca sempre di più la sua vocazione unitaria e solidale.
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- Non potete alterare o trasformare quest'opera, nè usarla per crearne un'altra.
Fonte:
COMPENDIO della dottrina sociale della Chiesa
APPROFONDIMENTI:
La SICUREZZA sul LAVORO
Il LAVORO è un DIRITTO FONDAMENTALE
La pensione è un diritto... il lavoro nero è vergognoso!
Note:
573 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 591.
574 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 1: AAS 71 (1979) 257.
575 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 8: AAS 71 (1979) 270.
576 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2427; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 27: AAS 73 (1981) 644-647.
577 Cfr. San Giovanni Crisostomo, Omelie sugli Atti, in Acta Apostolorum Homiliae 35, 3: PG 60, 258.
578 Cfr. San Basilio il Grande, Regulae fusius tractatae, 42: PG 31, 1023-1027; Sant'Atanasio di Alessandria, Vita S. Antonii, c. 3: PG 26, 846.
579 Cfr. Sant'Ambrogio, De obitu Valentiniani consolatio, 62: PL 16, 1438.
580 Cfr. Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 2: PG 7, 1210-1211.
581 Cfr. Teodoreto di Ciro, De Providentia, Orationes 5-7: PG 83, 625-686.
582 Giovanni Paolo II, Discorso durante la visita a Pomezia (14 settembre 1979), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979) 299.
586 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 589-590.
587 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 590.
588 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 592; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2428.
589 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 832.
590 Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 200.
591 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 16: AAS 73 (1981) 619.
592 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 4: AAS 73 (1981) 586.
593 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 12: AAS 73 (1981) 606.
594 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 12: AAS 73 (1981) 608.
595 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 13: AAS 73 (1981)
608-612.
596 Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 194-198.
597 Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 109.
598 Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 195.
599 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 833.
600 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 847.
601 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 11: AAS 73 (1981) 604.
602 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (6 marzo 1999), 2: AAS 91 (1999) 889.
603 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 844.
604 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 616.
605 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 9: AAS 58 (1966) 1031-1032.
606 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 613.
607 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 847.
608 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991)
832-833.
609 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629; Id., Lett. Enc. Centesimus annus, 9: AAS 83 (1991) 804.
610 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 67: AAS 58 (1966) 1088-1089.
611 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2184.
612 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2185.
613 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2186.
614 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2187.
615 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Dies Domini, 26: AAS 90 (1998) 729: « La celebrazione della domenica, giorno “primo” e insieme “ottavo”, proietta il cristiano verso il traguardo della vita eterna ».
616 Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 110.
617Catechismo della Chiesa Cattolica, 2188.
618 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2187.
619 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 9.18: AAS 73 (1981) 598- 600. 622-625; Id., Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (25 aprile 1997), 3: AAS 90 (1998) 139-140; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 8: AAS 91 (1999) 382-383.
620 Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 128.
621 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981)
600-602.
622 Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 103; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 612-616; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 831-832.
623 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 16: AAS 73 (1981) 618-620.
624 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18: AAS 73 (1981) 623.
625 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 848; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2433.
626 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 17: AAS 73 (1981) 620-622.
627 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2436.
628 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 66: AAS 58 (1966) 1087-1088.
629 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 12: AAS 73 (1981)
605-608.
630Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 853.
631 Paolo VI, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (10 giugno 1969), 21: AAS 61 (1969) 500; cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (15 giugno 1982), 13: AAS 74 (1982) 1004-1005.
632 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 16: AAS 83 (1991) 813.
633 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600.
634 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600- 602; Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 23: AAS 74 (1982) 107-109.
635 Cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 10, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14.
636 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 628.
637 Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), 3: AAS 87 (1995) 804.
638 Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 24: AAS 74 (1982) 109-110.
639 Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1996, 5: AAS 88 (1996) 106-107.
640 Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 129.
641 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 6: AAS 90 (1998) 153.
642 Giovanni Paolo II, Messaggio al Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione del Vertice mondiale per i Bambini (22 settembre 1990): AAS 83 (1991) 360.
643 Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 13: AAS 93 (2001) 241; Pontificio Consiglio Cor Unum - Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti, I rifugiati, una sfida alla solidarietà, 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, p. 8.
644 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2241.
645 Cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 12, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 77: AAS 74 (1982) 175-178.
646 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 66: AAS 58 (1966) 1087-1088; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 3: AAS 85 (1993) 431-433.
647 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 21: AAS 73 (1981) 634.
648 Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 23: AAS 59 (1967) 268-269.
649 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 13, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 17.
650 Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 35, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 31.
651 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
652 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
653 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 629.
654 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 15: AAS 83 (1991) 812.
655 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18: AAS 73 (1981) 622-625.
656 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
657 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
658 Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 135; Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 186; Pio XII, Lett. enc. Sertum laetitiae: AAS 31 (1939) 643; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 262-263; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 68: AAS 58 (1966) 1089-1090; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629-632; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 7: AAS 83 (1991) 801-802.
659 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
660 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2434; cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 198-202: « Il giusto salario » è il titolo del capitolo 4 della Parte II.
661 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 67: AAS 58 (1966) 1088-1089.
662 Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 131.
663 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2435.
664 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 68: AAS 58 (1966) 1089-1090; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629-632; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2430.
665 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 632.
666 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2435.
667 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629.
668 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 630.
669 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 630.
670 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2430.
671 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 68: AAS 58 (1966) 1090.
672 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 631.
673 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza Internazionale per i rappresentanti sindacali (2 dicembre 1996), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 2 (1996) 865.
674 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 8: AAS 73 (1981) 597.
675 Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti all'Incontro Internazionale sul Lavoro (14 settembre 2001), 4: L'Osservatore Romano, 16 settembre 2001, p. 7.
676 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (27 aprile 2001), 2: AAS 93 (2001) 599.
677 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600-602.
678 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2427.
679 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 35: AAS 58 (1966) 1053; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 19: AAS 59 (1967), 266-267; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629-632; Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: AAS 80 (1988) 548-550.
680 Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti all'Incontro Internazionale sul Lavoro (14 settembre 2001), 5: L'Osservatore Romano, 16 settembre 2001, p. 7.
681 Giovanni Paolo II, Discorso all'Incontro giubilare con il mondo del lavoro (1º maggio 2000), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 (2000) 720.
682 Giovanni Paolo II, Omelia alla Santa Messa per il Giubileo dei lavoratori (1º maggio 2000), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 (2000) 717.