Si prende in considerazione l'intervista con Giorgio Israel ordinario di Storia della matematica all'Università «La Sapienza» di Roma e storico della scienza
L'eugenetica come promessa di soppressione della vita imperfetta e indesiderata, come correzione dei difetti che rende tutti uguali, alti e belli, sani e in forza.
Senza se e senza ma, non importano i dati scientifici che ne dimostrino la serietà dei presupposti, delle pratiche e delle conseguenze. Non importa la motivazione reale di tanta democrazia genetica.
La settimana scorsa abbiamo iniziato a discutere di questi temi con la bioeticista londinese Jacqueline Laing, che ha spiegato le origini dell'eugenetica e la posta in gioco nel dibattito sulla sua liceità.
Sugli aspetti scientifici del programma eugenetico abbiamo chiesto chiarimenti a Giorgio Israel, ordinario di Storia della Matematica all’Università la Sapienza di Roma, già direttore del Centro di Ricerca in Metodologia della Scienza dell'ateneo, esperto internazionale nel campo delle applicazioni matematiche alla biologia.
Professor Israel, si sente sempre più spesso parlare di eugenetica.
Proviamo, nuovamente, a darne una definizione.
«L'eugenetica è il desiderio di creare individui perfetti, macchine perfettamente funzionanti.
E non uso le parole "desiderio" e "macchine" a caso: la prima implica che ciò che viene spacciato come programma scientifico rigoroso, finalizzato a soddisfare le più disparate esigenze, altro non è se non una volontà, una scommessa priva di fondamenti oggettivi e sicuri; la seconda parola, "macchine", significa che gli oggetti di tale desiderio eugenetico non sono più persone, ognuna con la propria identità unica e irripetibile, ma individui del tutto disumanizzati».
Dunque, se ho capito bene, lei sta dicendo che l'eugenetica ha poco a che vedere con la scienza...
«Di più, sto dicendo che l'eugenetica non ha niente a che vedere con la scienza.
Abbiamo di fronte una pratica che sulla base di percentuali discutibili – e nella maggior parte dei casi prive di un serio fondamento statistico – prevede dei fattori genetici di rischio possibili e in base ad essi decide cosa tenere e cosa buttare. Il tutto mentre il mondo della scienza ha ormai appurato da tempo che l'essere umano non è geneticamente predeterminato, che nei processi genetici interviene un numero infinito di variabili e che muoversi su quel versante equivale ad andare a tentoni. C'è una contraddizione evidente: da un lato – con la scienza – si ammette l'imprevedibilità della vita, dall’altro – con l'eugenetica che si spaccia per scienza – si impone alla realtà un determinismo genetico assoluto».
Quali le conseguenze?
«Che si scarta un embrione perché c'è un certo fattore di rischio genetico e se ne "tiene" un altro perché lo stesso fattore non c'è.
Oppure – cito una notizia di questi giorni – che si pratica la mastectomia a una ragazzina di quindici anni perché c'è un 8-10% di possibilità che sia predisposta geneticamente al tumore al seno.
Come se quello fosse l'unico elemento utile per decidere, come se non esistessero infiniti fattori di rischio possibili ed eventuali.
Qui entra in gioco l'assoluta irresponsabilità del programma eugenetico».
Quella di illudere le persone con false promesse...
«Sì. Il tema della responsabilità della scienza – entrato a pieno titolo dai tempi della bomba atomica – oggi pone la comunità scientifica internazionale innanzi alla domanda sul "senso" delle sue pratiche.
La pseudoscienza eugenetica, per esempio, dovrebbe chiedersi: se l'organismo umano è un insieme di cellule pronte a degenerare in ogni parte, e se esistesse anche una specie di fotografia di tutti i possibili ed eventuali processi degenerativi, cosa diventerebbe la vita umana?
Io, credo, un inferno. Perché mai dovremmo terrorizzare le persone, perché preoccuparci per quelle che sono semplicemente possibilità?».
La scorsa estate, intervenendo al Meeting di Rimini, si è soffermato sul rapporto tra bioetica e felicità.
L’eugenetica, così descritta, spezza quel rapporto?
«Esattamente.
Da un lato perché le persone non sono macchine, come abbiamo detto all'inizio, e la felicità delle persone non è quella delle macchine (che non sono felici, piuttosto funzionano nella maniera ottimale).
Dall'altro perché le promesse dell'eugenetica sono false: hanno un margine assolutamente casuale di realizzazione».
Nella comunità scientifica lei non sarà l'unico a nutrire questo sospetto.
Perché non se ne parla, perché la stessa eugenetica sembra bandita dal dibattito culturale e mediatico?
«Per interessi economici: test ed esami per indagare sugli aspetti perfettibili dell’individuo hanno costi (e consentono guadagni) elevatissimi.
E poi c'è un timore diffuso, quello che criticare l'eugenetica implichi attaccare la scienza, aprire un nuovo processo a Galileo, tentare di ripristinare l'oscurantismo del passato».
Come contrastare questo silenzio ed evitare che l'eugenetica entri a far parte del senso comune?
«La battaglia fondamentale si gioca sul piano della consapevolezza della gente, sul rifiuto delle persone a sottoporsi a certi test.
Penso, per esempio, alla medicalizzazione delle gravidanze, a quell'assoggettarsi delle donne alla mentalità folle che considera la gravidanza come una malattia.
La gente non deve farsi imporre questa visione della vita.
Solo se dal basso si alzerà un no, se le persone racconteranno le proprie esperienze di sofferenza legate a queste pratiche potremo evitare che la mentalità eugenetica abbia il sopravvento».
Fonte: Avvenire (Viviana Daloiso-2007)